L’immagine di Papa Francesco sulla sedia a rotelle assorto in preghiera davanti alle spoglie di san Celestino V nella Basilica di Santa Maria in Collemaggio a L’Aquila è di una forza comunicativa impressionante. Non perché il Pontefice stia meditando sulle sue dimissioni, come lui stesso ha precisato più volte in modo così fermo e chiaro che nessuno può mettere in dubbio l’autenticità delle sue affermazioni. Ma perché Bergoglio, ammirato dall’esempio eroico di due suoi predecessori che hanno avuto il coraggio di dimettersi, san Celestino V nel 1294 e Benedetto XVI nel 2013, si affida nella preghiera a colui di cui è il vicario sulla terra perché possa fargli comprendere sempre in futuro la sua volontà.
È un’immagine di fede autentica e profonda, come è quella del vescovo di Roma, che non alimenta le inutili e infondate speculazioni sulle sue dimissioni, che pure hanno inondato le cronache vaticane di quest’estate. Ma spazza via ogni dubbio sulla determinazione di Francesco nel portare avanti, pur tra le difficoltà fisiche e il peso notevole del pontificato, la missione che gli è stata affidata il 13 marzo 2013 sotto le volte della Cappella Sistina e davanti all’imponente Giudizio Universale di Michelangelo.
“Erroneamente – ha spiegato il Papa a L’Aquila – ricordiamo la figura di Celestino V come ‘colui che fece il gran rifiuto’, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia; ma Celestino V non è stato l’uomo del ‘no’, è stato l’uomo del ‘sì’”. E ha aggiunto: “Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è misericordia. Questa è il cuore stesso del Vangelo, perché la misericordia è saperci amati nella nostra miseria. Vanno insieme. Non si può capire la misericordia se non si capisce la propria miseria. Essere credenti non significa accostarsi a un Dio oscuro e che fa paura”.
La croce del pontificato umanamente può spaventare. Fu così per san Celestino V. Ma può esserlo anche oggi. Non a caso fu proprio questo il cuore dell’intervento che il cardinale Giacomo Biffi, raffinato teologo, fece il 15 aprile 2005 durante le congregazioni generali dei cardinali, elettori e non, che precedettero il conclave successivo alla morte di Wojtyla. Lo stesso porporato confidò successivamente di averlo pronunciato “dopo molte perplessità”.
“Dopo aver ascoltato tutti gli interventi, giusti opportuni appassionati, che qui sono risonati – disse Biffi – vorrei esprimere al futuro Papa (che mi sta ascoltando) tutta la mia solidarietà, la mia simpatia, la mia comprensione, e anche un po’ della mia fraterna compassione. Ma vorrei suggerirgli anche che non si preoccupi troppo di tutto quello che qui ha sentito e non si spaventi troppo. Il Signore Gesù non gli chiederà di risolvere tutti i problemi del mondo. Gli chiederà di volergli bene con un amore straordinario: ‘Mi ami tu più di costoro?’ (cfr. Gv 21,15)”.
Il porporato proseguì: “In una ‘striscia’ e ‘fumetto’ che ci veniva dall’Argentina, quella di Mafalda, ho trovato diversi anni fa una frase che in questi giorni mi è venuta spesso alla mente: ‘Ho capito – diceva quella terribile e acuta ragazzina – il mondo è pieno di problemologi, ma scarseggiano i soluzionologi’. Vorrei dire al futuro Papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i ‘piccoli’. Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: ‘Questo Papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali’. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo”.
È così anche oggi per Francesco. Davanti alla monumentale e storica riforma della Curia romana entrata in vigore il 5 giugno 2022 con la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, c’è chi pensa che Bergoglio sia pronto a lasciare.
Interiormente egli è distaccato dalla carica, dal trono, dal potere, da ciò che si può definire e nello stesso tempo sintetizzare con l’espressione clericalismo. Ma ne è distaccato anche perché il Papa, padre in greco, è vicario sulla terra della seconda persona trinitaria ed è ben consapevole che il trono su cui Gesù Cristo regna per sempre è la croce che è diventata per i cristiani simbolo inconfutabile di redenzione per tutta l’umanità senza barriere, emblema della fratellanza universale.