“Solo per dignità dico che non chiudiamo a settembre. Se lo immagina chiudere proprio nell’anniversario di padre Puglisi (ucciso il giorno del suo 56esimo compleanno, 15 settembre del 1993, ndr)?” scuote la testa Maurizio Artale, presidente del centro Padre Nostro, il centro di accoglienza fondato da Don Pino Puglisi a Brancaccio, ovvero lì dove il suo impegno sociale in un quartiere controllato dalla mafia diede talmente tanto disturbo da finire ucciso con un colpo alla nuca ordinato dai fratelli Graviano.
Un colpo mortale che mise fine al figlio di Brancaccio, diventato prete nel suo stesso quartiere, dove aveva fondato il centro dedicandosi al recupero dei minori, per sottrarli al reclutamento mafioso. Dopo la sua morte, il suo impegno sociale è stato portato avanti, perfino espanso in altri quartieri, ma adesso si rischia il fallimento per il caro bollette. Non la mafia, dunque, ma i rincari di luce e gas stanno inginocchiando uno dei pochissimi baluardi sociali di quartieri poverissimi: “Stiamo parlando di 6800 euro di luce da pagare solo per il mese di luglio, l’anno scorso la bolletta era di 1700 euro: è un rincaro del 300% che ci costringe a chiudere”, indica Artale.
Alla bolletta della luce bisognerà aggiungere anche le utenze del gas: una mazzata per l’unico punto di riferimento in molti quartieri tra i più degradati di Palermo, perché oltre a Brancaccio, dove c’è la sede centrale, la creatura di Don Puglisi conta adesso anche 20 sedi periferiche in altre zone, come per esempio lo Zen, in cui gli unici servizi arrivano tramite il centro Padre Nostro. Cibo, dopo scuola, sostegno per l’infanzia, messa alla prova di minorenni inviati dal tribunale dei minori, centro antiviolenza, assistenza agli anziani: sono solo alcuni dei servizi forniti alle famiglie. “Siamo punto di riferimento per almeno 600 famiglie. Chiudendo cosa faranno? Non vogliamo fare i pietisti, ma di fatto queste persone, che ad oggi comunque trovano qualche forma di ristoro, seppur parziale, domani non saranno più assistite. E cosa faranno i nostri 13 dipendenti e i 50 volontari?”, apre le braccia il presidente del centro. Prende fiato e spiega: “Come andiamo avanti? Prima avevamo un contributo diretto della Regione poi col governo Crocetta nel 2010 fu tagliato, adesso partecipiamo ai bandi e nell’ultima finanziaria regionale abbiamo ottenuto 100mila euro, che serviranno per pagare le bollette, ma non i servizi: non siamo mai riusciti ad avere un contributo dal governo nazionale, invece”. Nel frattempo le bollette dell’Enel piombano come un macigno nel centro antimafia: “Da ottobre perlomeno saremo costretti a chiudere le sedi periferiche, ma è dura dire alle famiglie dello Zen che sono figli di un Dio minore rispetto a quelle di Brancaccio: forse meglio chiudere tutto e basta: è una decisione troppo dura”, scuote ancora la testa Artale. E lancia il suo appello: “Non è certo una novità: le grandi e piccole crisi economiche colpiscono sempre i più deboli e fragili. Quindi, oltre ad aggiungere la nostra voce al coro degli imprenditori, vogliamo che ci si renda conto che se un ente come il centro di accoglienza Padre Nostro chiuderà, il danno sarà duplice: la perdita occupazionale e l’aumento della disperazione degli ultimi”.