La situazione per l’industria italiana sta diventando sempre più critica: i prezzi impazziti del gas rischiano infatti di mandare fuori mercato numerose imprese. A soffrire sono in particolare le aziende energivore, come i produttori di vetro e ceramica. Ma anche il settore alimentare. Comparti che rappresentano una fetta importante del tessuto produttivo dell’Emilia Romagna. “La situazione è molto grave: da fine giugno rispetto a oggi i valori del gas e dell’energia elettrica sono quasi triplicati. Nel primo semestre del 2022 per la bolletta energetica abbiamo speso 47 milioni di euro in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Se questo trend dovesse proseguire, nel secondo semestre saremo a 100 milioni di euro aggiuntivi. In totale, si tratta di quasi 150 milioni di euro in più rispetto al 2021, quando la spesa per la bolletta fu di 40 milioni” spiega a ilfattoquotidiano.it Vincenzo Di Giuseppantonio, amministratore delegato di Bormioli Rocco, azienda leader nel settore del vetro con sede a Fidenza, in provincia di Parma.

I dati fotografano bene la realtà di un comparto che si trova alle prese con una crisi energetica che si trascina ormai da mesi. Già dall’autunno del 2021, infatti, i prezzi dell’energia avevano iniziato ad aumentare, contagiando anche le materie prime e quelle secondarie. Un pallet, ad esempio, che costava in media 8 euro l’anno scorso, ora ne costa 25. I rincari sostenuti dalla imprese si sono già tradotti nelle richieste di cassa integrazione. Gli ultimi dati dell’Inps parlano chiaro: tra gennaio e luglio la Cigs è cresciuta del 45,65% rispetto allo stesso periodo del 2021, interessando soprattutto l’industria (+35,8%), l’edilizia (+34,9%) e il commercio (+103,6%). Un’accelerazione si è registrata a giugno, quando, su maggio, la Cigs è aumentata del 49,8%. E le prospettive per i lavoratori non sono certo positive. “Abbiamo già spento un forno a fine luglio e non ripartiremo finché non ci saranno delle condizioni di prezzi normali”, prosegue Di Giuseppantonio. “Per ora stiamo facendo smaltire le ferie ai dipendenti ma se continua così dovremo chiudere altri forni: sicuramente a settembre e ottobre ci sarà del personale in cassa integrazione”.

Il problema è che le imprese faticano a scaricare i rincari energetici sui prezzi: il mercato non è più in grado di assorbire ulteriori aumenti. “Dovremmo aumentare i prezzi di circa il 70% per coprire i maggiori costi, ma nessuno lo accetterebbe”, prosegue l’ad di Bormioli. “Senza contare che c’è un tema di competitività sia rispetto alle imprese europee che extra europee, che godono di prezzi energetici inferiori ai nostri. Alcuni Paesi hanno introdotto delle importanti agevolazioni che noi invece non abbiamo. Ad esempio, abbiamo uno stabilimento in Spagna che, grazie al tetto al prezzo del gas, si rifornisce a prezzi molto più bassi dei nostri”. Non solo. Ci sono numerose imprese che non riescono a rinnovare i contratti ormai in scadenza: i fornitori non sono in grado di garantire le elevate quantità di cui hanno bisogno le imprese energivore. Per questo, secondo il manager di Bormioli, il governo deve fare di più. “Gli interventi varati finora, come il credito d’imposta al 25%, potevano essere d’aiuto fino alla fine di giugno, ma ora non più. L’unica soluzione, in questo momento, sarebbe quella di introdurre un tetto al prezzo del gas. In assenza di interventi, sia a livello europeo che nazionale, avremo un autunno di forti tensioni sociali”.

Una misura, quella del price cap, invocata anche dal presidente di Confindustria Ceramica, Giovanni Savorani: “Il prezzo deve essere calmierato”. Tuttavia se la norma di marzo sul gas release, che prevede di destinare alle imprese energivore i maggiori volumi di metano estratti in Italia, a prezzi vicini al costo di produzione, va nella giusta direzione, le industrie del settore reclamano anche “misure emergenziali”, da adottare subito. “Le imprese si stanno dissanguando finanziariamente per pagare le bollette” sottolinea Savorani, “è assolutamente necessaria una moratoria sui mutui, in modo che le aziende possano respirare fino a Natale. Se non si agisce subito, il prossimo governo rischia di trovarsi un cimitero di aziende”. Anche il credito di imposta del 25% a favore delle imprese energivore non appare più sufficiente alla luce dei prezzi attuali. “Oggi abbiamo un’incidenza dell’energia sulla piastrella che supera il prezzo di vendita in certi Paesi”, prosegue l’imprenditore, “con questi prezzi si ferma la produzione. Le conseguenze sociali saranno enormi. Ci sono già molte richieste di Cassa integrazione e secondo me aumenteranno vertiginosamente durante questa settimana: tutto ciò è inevitabile”. La richiesta è che il credito d’imposta venga rafforzato, portandolo al 50%: “è l’unico modo per avere un prezzo accettabile che consenta alle imprese di continuare a produrre”. Ma la situazione è talmente grave che molte imprese, schiacciate dall’esplosione dei prezzi dell’energia dell’ultimo mese, dopo le chiusure per ferie ad agosto non hanno ancora riacceso i forni. “Stiamo rinviando di settimana in settimana in attesa che il governo prenda una decisione”.

Un altro problema che affligge il settore riguarda le difficoltà ad aggiornare i listini, che di solito vengono modificati ogni tre mesi. La volatilità dei prezzi dell’energia, infatti, non consente di pianificare. Neanche a breve termine. “È la cosa più grave che ci sta capitando: come facciamo in queste condizioni a garantire un prezzo stabile ai nostri clienti? Dobbiamo decidere cosa fare. A partire da come riuscire a consegnare gli ordini che abbiamo in portafoglio perché abbiamo venduto pensando di avere il gas a 100, e non a 300 euro come adesso”, aggiunge Savorani. Inoltre, per la ceramica, settore che esporta circa l’85% della produzione, la crisi rischia di far perdere le quote di mercato conquistate negli ultimi decenni.

Ma i rincari non hanno risparmiato nemmeno il settore alimentare. “Noi stimiamo rispetto all’anno scorso un aumento della bolletta del gas di circa il 400-500%, se paragonato invece al 2020 parliamo del 1200-1300%”, ha spiegato nei giorni scorsi Francesco Mutti, ad di Mutti spa, azienda conserviera con sede in provincia di Parma. Intervistato dall’AdnKronos, l’imprenditore ha raccontato le difficoltà di un settore che concentra la produzione durante i mesi estivi: la campagna per la raccolta dei pomodori, infatti, parte il 20 luglio e termina il 20 settembre. Proprio quando i prezzi dell’energia sono esplosi. “La crisi ucraina e il boom dei prezzi del gas non sono sostenibili da una filiera che vede il 100% della propria trasformazione concentrata nei due mesi clou in termini di crescita dei costi”. Anche perché sulla campagna del 2022 si sono scaricati un anno di rincari, non solo energetici, cominciati nell’autunno del 2021. “Sarà un bagno di sangue” aggiunge Mutti, “credo che molte delle aziende del settore rischiano di non farcela ad andare avanti”. Certo, un’impresa come Mutti, con ricavi stimati a 550 milioni di euro per quest’anno e che esporta il 50% della propria produzione è in grado di sostenere la tempesta. Non altrettanto, però, si può dire di tante altre aziende, più piccole e più fragili, che invece rischiano di chiudere. Per questo l’imprenditore ritiene indispensabile “un intervento ad hoc” per il settore. Misure immediate necessarie a “ribilanciare i costi energetici insostenibili per un settore che ha una via industriale brevissima, 60 giorni, e che viene profondamente colpito da questi aumenti”.

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