Non solo Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Daniela Santanchè e l’ex ministro Giulio Tremonti (tutti blindati tra collegi uninominali e listini proporzionali). Spuntano gli altri: candidati meno noti o persino sconosciuti, ma che il partito ha collocato in posizione eleggibile. Ecco chi sono
All’ombra di “big” del calibro di Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Daniela Santanchè e l’ex ministro Giulio Tremonti (tutti blindati tra collegi uninominali e listini proporzionali) spuntano gli altri: candidati meno noti o persino sconosciuti, ma che il partito ha collocato in posizione eleggibile. Tra loro due indagati, un condannato dalla Corte dei conti, figli e nipoti, ex berlusconiani saliti sul carro al momento giusto e qualche nostalgico. In Lombardia Fratelli d’Italia si aspetta un risultato vicino o superiore a quello della Lega. Per questo gli appetiti erano molti e oggi non mancano le polemiche, soprattutto per la scelta delle quote rose e per l’attenzione riservata ai parenti.
Il condannato è il deputato uscente Marco Osnato, genero di Romano La Russa, che lo scorso 16 marzo è stato sanzionato dalla Corte dei conti. La vicenda risale al 2010, quando Osnato era direttore dell’area gestionale di Aler Milano, la società pubblica di Regione Lombardia che costruisce e gestisce le case popolari. Per la magistratura contabile, Osnato e l’allora direttore generale Mimmo Ippolito avrebbero provocato un danno erariale da 101.300 euro, che ora dovranno rifondere perché il loro ricorso è stato respinto. Anche di recente il nome di Osnato è balzato agli onori delle cronache giudiziarie: lo scorso agosto undici persone sono finite indagate per corruzione e altri reati perché, secondo l’accusa, avrebbero pilotato appalti per 16,5 milioni a Fiera Milano. Quattro tra gli indiziati maggiori hanno avuto e hanno un ruolo di primo piano nel partito di Meloni. E nelle società attenzionate dai magistrati c’era pure Osnato (non indagato), prima che cedesse le sue quote.
Fa poi discutere il caso di Giangiacomo Calovini, indagato per corruzione e candidato nel collegio uninominale di Desenzano. Secondo la Procura, sarebbe diventato consigliere comunale a Brescia grazie alle dimissioni di un compagno di partito, Giovanni Acri, al quale l’eurodeputato Carlo Fidanza avrebbe promesso l’assunzione del figlio a Strasburgo. In teoria Fidanza, pure lui sotto inchiesta a Milano per corruzione, finanziamento illecito e riciclaggio, si è autosospeso da Fratelli d’Italia. Ma la sua attività politica, anche nella formazione delle liste, appare piuttosto intensa. Tanto da aver piazzato in posizione eleggibile tre dei suoi fedelissimi: oltre a Calovini, anche il vicecoordinatore lombardo Fabio Raimondo (che corre in un collegio sicuro) e la deputata uscente Paola Frassinetti (candidata sia al maggioritario sia al proporzionale). Quest’ultima, vicepresidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera, è nota per le sue posizioni revisioniste. Non più tardi di qualche anno fa scrisse che partigiani e repubblichini combatterono una guerra civile “ma con una differenza abissale tra i due schieramenti nello stile e nel coraggio”.
Qualche polemica tra i giovani del partito per la candidatura dei parenti. Non tanto per Andrea Tremaglia (nipote di Mirko, storico dirigente missino) che sarà capolista al plurinominale, quanto per la 37enne Lucrezia Mantovani. Quest’ultima, senza neppure un giorno di militanza, venne candidata nel 2018 nel plurinominale a Como. Non fu eletta, ma subentrò al dimissionario Guido Crosetto. Figlia dell’ex berlusconiano Mario Mantovani (già vicegovernatore della Lombardia, prima di una lunghissima serie di guai giudiziari che gli costarono sette anni di processi: fu assolto da tutte le accuse), Lucrezia fu sponsorizzata da Daniela Santanchè, poco dopo l’adesione del padre a Fratelli d’Italia. Alla fine del 2017 venne coinvolta in un bizzarro episodio di cronaca. I Carabinieri di Abbiategrasso, nel Milanese, sequestrano un grosso quantitativo di droga: all’interno di due sacchi pieni di marijuana furono ritrovati i documenti d’identità della futura deputata di Fratelli d’Italia. Il Pubblico ministero titolare dell’inchiesta la identificò come persona offesa, invitandola a costituirsi parte civile. Ma l’allora candidata rinunciò a chiedere i danni allo spacciatore.
Negli ambienti milanesi FdI si dava per scontato che la giovane Lucrezia non si sarebbe più candidata, lasciando il posto al suo illustre papà. Invece non solo correrà ancora, ma è blindata quasi fosse un big: collegio uninominale sicuro ai confini con la Brianza, due posti nel plurinominale (di cui uno capolista) e altri due posti (sempre nel listino bloccato in seconda posizione) stavolta in Puglia, appena dietro Raffaele Fitto. La rinuncia di Mantovani senior verrebbe tuttavia ricompensata con un incarico di rilievo nel futuro governo di centrodestra oppure l’anno prossimo alle elezioni lombarde, nonché con una candidatura per Strasburgo nel 2024.
Ad agitare l’universo femminile di Fratelli d’Italia non c’è solo il “caso Lucrezia”, ma anche la giovanissima Grazia Di Maggio, classe 1994, preferita a tante aspiranti candidate con curriculum pesante e anni di militanza. Collaboratrice del gruppo regionale FdI, l’anno scorso tentò senza riuscirci di entrare in consiglio comunale a Milano. Per farle avere la candidatura al plurinominale in posizione eleggibile sarebbe intervenuto nientemeno che Ignazio La Russa, per mettere a tacere i malumori della base ma ottenendo l’effetto opposto.
Le donne lombarde di FdI avevano chiesto di essere valorizzate, invece i posti migliori sono stati decisi a Roma. Come Sara Kelany, avvocato di Fondi di Latina e animatrice del giornale on line “La Voce del patriota”: anche per lei, dirigente del partito nel Lazio, una candidatura sicura al proporzionale in Lombardia. O come Alessia Ardesi, un tempo nel “cerchio magico” di Silvio Berlusconi. Oggi si ritrova in seconda posizione di un listino plurinominale ed è a un passo dalla Camera dei deputati.
Qualche sacrificio, per un partito che vuole parlare a più mondi, va fatto. E allora un posto per qualche ex forzista, traslocato con Meloni al momento giusto, bisogna trovarlo. Uno è per Andrea Mascaretti, già assessore a Milano con Letizia Moratti; l’altro è per Stefano Maullu, coordinatore milanese di FdI: entrambi nei listini al plurinominale. Ma il nome di Maullu fa storcere il naso ai militanti vecchio stampo, perché l’ex assessore regionale alla Protezione civile finì (non indagato) nelle carte di un’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia. Correva l’anno 2010, quando un’inchiesta della Dda di Milano sul Parco Agricolo Sud fece emergere una brutta di storia di movimento terra, discariche abusive, attentati incendiari e armi. Finirono in carcere 17 persone, tutte riconducibili al clan Barbaro-Papalia. Un filone di quell’indagine portò poi all’arresto dell’ex sindaco di Trezzano sul Naviglio, Tiziano Buttarini del Pd (il quale patteggerà una pena a 2 anni e 5 mesi). Davanti al magistrato, Buttarini raccontò di un summit politico-affaristico per discutere di nomine in un ristorante sardo al quartiere Isola di Milano, al quale avrebbero partecipato lo stesso Buttarini, esponenti dei clan e Maullu. Il politico smentì seccamente, le indagini lo sfiorarono appena e tutto finì lì.
E’ invece ancora aperto un altro fronte giudiziario, che vede Maullu indagato (assieme al fratto Antonio Sandro e al senatore Paolo Romani, ex Forza Italia poi passato con Giovanni Toti in “Cambiamo”) nell’inchiesta della Procura di Bergamo sul fallimento della Maxwork, una società di lavoro interinale. Nel gennaio 2015 sarebbero stati consegnati 12 mila euro in contanti a Romani, “come corrispettivo di un atto contrario ai doveri del suo ufficio”. La somma sarebbe stata “materialmente consegnata in un plico chiuso, ritirato presso gli uffici della Maxwork da Antonio Sandro Maullu su incarico di Stefano Maullu”. Circostanza che sarebbe “pienamente provata da una intercettazione ambientale”. Ma i fratelli Maullu, convocati dai giudici per fornire informazioni, avevano escluso di essersi mai recati negli uffici della Maxwork. Per questo oggi sono entrambi indagati per aver reso false dichiarazioni agli inquirenti.
Nel tentativo di aprire alla cosiddetta società civile c’è spazio anche per Fabio Pietrella, candidato nel plurinominale e in pratica certo dell’elezione. Nel 2021 l’ex commissario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, indagato per peculato e abuso d’ufficio, riferì ai magistrati che Meloni gli avrebbe raccomandato un imprenditore che voleva entrare nel business delle mascherine. Era Pietrella, presidente di Confartigianato Moda e candidato con FdI alle Europee 2019 (non fu eletto). La presidente di Fratelli d’Italia reagì con durezza e minacciò querele, chiarendo di aver semplicemente invitato Pietrella a mandare una mail al braccio destro di Arcuri. Polemica chiusa.
Fratelli d’Italia, in questi mesi, ha lavorato per accreditarsi come un partito di governo che ha chiuso con il passato, con le nostalgie e con i saluti romani. Se è così, Meloni farà bene a tenere sott’occhio qualche suo futuro parlamentare. Come l’ex sindaco di Luino (Varese), Andrea Pellicini, che corre in un collegio blindato per la Camera. Qualche anno fa concesse una villa del Comune al movimento di estrema destra “Patria Nostra” per commemorare la strage di Acca Larentia del 1978, nella quale morirono tre giovani missini. La città si riempì di croci celtiche, braccia tese, simboli nazifascisti, foto del Duce, scritte anti aborto e anti immigrati. Pellicini, sommerso dalle critiche, dichiarò di non essersi accorto di nulla: “Non ho visto i manifesti: ero allo stadio a seguire il Varese”.