di Franco Failli
Una volta per invecchiare si doveva essere saggi e molto fortunati. Invece oggi è per non invecchiare che si deve essere stolti o molto sfortunati. Quindi è chiaro che oggi gli anziani sono molti di più che in passato e che non c’è più un gran merito nell’arrivare ad esserlo. Quando capita di ripensare al passato, quindi, non è che uno lo fa per inorgoglirsi. Semplicemente il passato sta là, e ogni tanto capita di buttarci sopra un occhio.
Giorni fa ricordavo quando, verso la fine degli studi, mi accorsi di aver vissuto una vita intera sotto un unico governo, un unico partito, un’unica e immutabile costellazione di nomi e facce che non erano cambiate mai. Ricordo che dissi tra me e me: “Mamma mia! Ma qui non cambia mai nulla! Non se ne può proprio più. Io, almeno, non ne posso proprio più. Qualunque cosa, ma basta con questa gente!”. Poi, dopo gli anni (i mesi?) brevi e rapidamente rimossi di Tangentopoli, mi accorsi che invece non bastava cambiare e che il cambiamento “pur che sia” non è detto che dia buoni frutti.
Ma cosa desideravo in quegli anni? Se avessi potuto essere io a tracciare l’identikit di un partito in grado di cambiare le cose in meglio, e non in peggio, cosa avrei messo nella lista delle sue caratteristiche? Probabilmente avrei detto che doveva essere autenticamente popolare, solido, nascere dalla volontà di grandi masse di persone diverse e non essere il cartonato “partito azienda” che invece abbiamo visto in quegli anni. Che avesse la ferma volontà di garantire i diritti di tutti e di crearne di nuovi. Forse avrei aggiunto che doveva staccarsi dai rituali della vecchia politica, senza tante sezioni, correnti, burocrati interni. Certo avrei desiderato che non fosse infiltrato dalla corruzione, dalla mafia e dalla massoneria, che non fosse prono ai voleri della Nato, del Vaticano, del blocco sovietico o di chissà chi altro (l’Ue delle banche ancora non c’era). Che fosse popolato di gente ragionevolmente giovane, al posto dei barbogi che affollavano gli schermi televisivi e le pagine dei giornali di quegli anni. Che avesse delle idee riguardo al futuro e non solo ragnatele di vecchie parole d’ordine del passato.
Idee vaghe, poco realistiche, da sognatori. Però erano le mie idee, di tanti anni fa, e non è che poi me ne siano venute in mente chissà quali altre, comunque. L’immaginazione in genere non migliora, quando si invecchia. Forse oggi aggiungerei che in quel partito ideale sarebbe importante un’adeguata presenza femminile e che sia formato da persone competenti. All’epoca non credo mi fosse venuto in mente: per me era ovvio che in questioni come queste il sesso non contasse e anche che chi arrivava al governo di una nazione complessa ed evoluta come l’Italia fosse competente e degno. Del resto non ci avevano pensato nemmeno i costituzionalisti a formulare un articolo tipo: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, che tiene fuori dalle aule parlamentari i cretini, i ladri, i mafiosi i camorristi e i criminali in genere”. Forse invece sarebbe servito dirlo chiaro.
Mi guardo intorno oggi, a pochi giorni dall’ennesima votazione in cui dovremmo indicare che paese vogliamo, e non vedo entità politiche che rappresentino tutti gli elementi che avevo in mente da giovane, magari integrati da quelli aggiunti in seguito. E nemmeno me lo aspettavo. La maturità porta sempre con sé un po’ di disillusione. O forse di realismo.
Però una cosa forse utile che ognuno di noi potrebbe fare sarebbe quella di scriverlo su un foglio di carta, in ordine di importanza, il proprio elenco di cose a cui davvero tiene. Forse fare una sorta di “lista della spesa” aiuterebbe a non dimenticare quel che assolutamente serve avere, senza essere troppo allettati da “offerte speciali” di cui non abbiamo veramente bisogno e che alla cassa comunque pagheremmo. Di certo non abbiamo vissuto e non vivremo nel migliore dei mondi possibili. Cerchiamo almeno di fare in modo che non sia il peggiore.