Il lungo, protagonista della vittoria nella rassegna continentale di Parigi, parla alla vigilia del debutto azzurro: "Mi sembra una squadra ben assortita, che può giocare alla pari contro qualsiasi avversaria. Dopo gli ottavi, può accadere di tutto. Anche senza Gallinari". E sull'esodo dei giovani talenti: "Frutto della corsa al risultato, serve un cambio di mentalità"
Ventitré anni fa ha portato l’Italia sul tetto d’Europa, vincendo il titolo di miglior giocatore della rassegna continentale. Gregor Fucka è stato uno dei giocatori chiave della nazionale italiana di pallacanestro. Un lungo di 215 centimetri ambidestro, capace di giocare come una guardia, anticipando la nuova generazione di lunghi moderni. Oggi Fucka allena e alla vigilia degli Europei è fiducioso sul cammino degli azzurri.
Come vede la Nazionale italiana?
Bene. Mi sembra una squadra ben assortita, che può giocare alla pari contro qualsiasi avversaria. È costruita sugli esterni e, per questo, dipende molto dal tiro da fuori. Ha qualche limite sotto canestro, ma anche giocatori di grande esperienza come Datome che possono fare la differenza. L’Italia può essere una sorpresa.
Quanto peserà l’assenza di Gallinari?
È stata una bella batosta. Danilo è un giocatore che non si può sostituire ma tutti potranno dare di più sapendo di non averlo a disposizione: in questi casi le squadre vogliono dimostrare di poter vincere anche senza grandi stelle.
Nella prima fase l’Italia affronterà al Forum di Assago anche la Grecia di Antetokoumpo. Come si può fermare?
Difendendo di squadra. Non si può pensare di concedergli l’uno contro uno, contro giocatori di quel livello e con quella potenza fisica sarebbe un errore gravissimo.
Dove può arrivare il gruppo azzurro?
L’obiettivo sarà arrivare agli ottavi, quando si incrociano le favorite. Poi può accadere di tutto. Vedo davanti a tutti la Slovenia, la Serbia e la Francia ma non bisogna dimenticarsi della Spagna, anche se non avrà a disposizione tanti big. Ma tra le possibili sorprese ci metto anche l’Italia che potrebbe salire anche sul podio.
Pozzecco, che lei ha affrontato molte volte da giocatore è il nuovo Ct. Se lo sarebbe mai aspettato?
Sono contento per lui, se lo merita anche se è un lavoro difficile. Saprà tirare fuori il massimo dai ragazzi: sa trasmettere la passione e la forza che serve in queste competizioni. Ammetto che non mi sarei mai aspettato di vederlo allenare ma il mondo del basket è pieno di sorprese. Penso a lui e a Vincenzo Esposito, un altro giocatore che avrei mai pensato diventasse coach.
Nel 1999, a Parigi, l’Italia vinse l’oro e lei il titolo da Mvp degli Europei.
Ricordi unici, vincere l’Europeo è il massimo specialmente dopo sedici anni senza oro. Un gruppo unito, unico. Paradossalmente capimmo di poter vincere il titolo dopo la prima partita persa contro la Croazia. Ci sentivamo più forti di loro e abbiamo perso. Così siamo scesi al piano terra e siamo riusciti a ripartire tutti insieme per vincere. Quella è stata la svolta, il “clic” che chi ha portati a conquistare l’oro.
Qual è stato il ruolo di coach Tanjevic in quella vittoria?
Lui ci credeva sempre, ci trasmetteva la sicurezza e la fiducia nei nostri mezzi, la consapevolezza di potercela fare sempre e comunque. L’abbiamo seguito perché le sue parole erano realtà.
Tanjevic è stato il coach che l’ha portata in Italia da giovanissimo e ha spinto per farla giocare con la nazionale italiana…
Mi ha fatto partire in quintetto in prima squadra quando avevo solo 18 anni a Trieste, dandomi fiducia e la possibilità di sbagliare. Non credo che ci siano molti allenatori in Italia disposti a fare ciò al giorno d’oggi.
Invece negli ultimi anni giocatori come Simone Fontecchio, Nicolò Melli o Achille Polonara sono dovuti andare all’estero per poter giocare. Un’inversione di tendenza?
C’è questo problema, una corsa al risultato. I giovani non hanno la possibilità di sbagliare e così restano indietro. Si crede troppo poco nei giovani e si dà troppo spazio agli stranieri. Questo dipende dalle società che danno le linee guida agli allenatori e da questi ultimi. Le società pretendono di avere subito dei risultati e dopo per gli allenatori è difficile avere coraggio. Servirebbe un cambio di mentalità: lo diciamo da anni ma non è stato ancora fatto niente.