L’Europa chiedeva di rendere più chiari i contratti a beneficio dei lavoratori. Il governo ha preso la palla al balzo per fare l’esatto contrario: un decreto che impone infiniti adempimenti per chi assume ma soprattutto espone i lavoratori più fragili a rischio di licenziamento se nei sei mesi di prova usufruiranno di permessi e benefici della 104. Discriminazione che lede la Convenzione Onu sui diritti dei disabili. Sembra assurdo ma succede dal 13 agosto. Quel giorno è entrata in vigore la legge firmata dal ministro Orlando sulla trasparenza dei contratti. Dal titolo sembra innocua come i tanti decreti-ciclostile che recepiscono direttive comunitarie. Il diavolo, si sa, s’annida però nei dettagli, in questo caso le pieghe del testo approvato il 27 giugno scorso e passato un po’ troppo sotto silenzio.
Si trattava di regolare diversamente gli obblighi di informazione/comunicazione a carico dei datori di lavoro (pubblici e privati) all’atto della stipula di un contratto in luogo di formule bizantine e rimandi ai contratti collettivi che non consentono all’assunto di avere una chiara definizione delle condizioni che gli vien chiesto di firmare. Un’esigenza tanto maggiore in Italia, dove di contratti ce ne sono mille e per anni si è tollerato che il datore scrivesse due righe con generici rimandi alla contrattazione collettiva, tipo: “per tutto quanto non espressamente previsto dal presente contratto…”.. Ora basta, dice l’Europa, i contratti devono essere chiari e intellegibili. Il ministro Orlando e gli uffici di Via Vittorio Veneto si mettono al lavoro e partoriscono un decreto che è quasi più lungo di un contratto (17 articoli, 23 pagine di Gazzetta Ufficiale) e che – in perfetta continuità con la tradizione degli uffici legislativi – finisce per complicare un po’ tutto, ponendo a carico del datore una serie di obblighi di comunicazione per lettere d’assunzione lunghe un lenzuolo che pochi, probabilmente, leggeranno davvero. Se non lo fa si becca una multa da 250 a 1500 euro per ogni rapporto instaurato disapplicando, in tutto o in parte, le disposizioni.
Quando la norma è uscita in Gazzetta i responsabili risorse umane si son messi le mani nei capelli, certi che ogni assunzione porterà un aggravio in termini di tempo ma fin qui nulla di grave, solo più scartoffie e oneri per le imprese. Il fatto è che il ministero ha fatto peggio: ha tolto certezze alla più fragile delle categorie, i portatori di handicap, i malati gravi, i caregiver e tutti i beneficiari degli istituti di tutela previsti dalla legge 104/1996. Come? Semplicemente dimenticandoli. Il vulnus sta all’articolo 7 del decreto, laddove si disciplina il “periodo di prova”. La norma ribadisce che la durata è di sei mesi massimo e che non potrà essere rinnovato in caso si usi il lavoratore per le stesse mansioni, e fin qui tutto bene. Il problema è il comma 3, quello che indica invece gli “eventi” per i quali il periodo si interrompe senza conseguenze per il lavoratore, facendo slittare i termini del “patto di prova”, e cita espressamente quattro circostanze: malattia, infortunio, congedo di maternità/paternità obbligatori, a fronte dei quali “il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza”.
Manca invece l’indicazione degli eventi tipici della categoria di lavoratori tutelati dalla legge 104 appunto, vale a dire le categorie protette che ricomprendono i malati gravi e i familiari che li accudiscono. L’effetto della dimenticanza al lato pratico è che i neoassunti che si trovassero alle prese con una terapia o quelli che debbono chiedere un congedo per assistere il padre che sta male si troveranno esposti al rischio di licenziamento, perché quei giorni di assenza non vengono scomputati dal periodo di prova che decorre lo stesso, consentendo al datore di non confermare l’assunzione. Neppure le associazioni che rappresentano gli invalidi avevano messo a fuoco la portata del meccanismo che tritura un istituto di salvaguardia delle categorie deboli soggette a tutela dal lontano 1996.
Alcune lo scoprono dal Fatto.it. “Così com’è scritta la norma penalizza sia i disabili che le persone che li assistono”, trasecola il presidente di Anffas Roberto Speziale. “Configura addirittura una lesione della Convenzione Onu sui diritti fondamentali delle persone con disabilità, cosa che non può essere perché è legge internazionale adottata dallo Stato che non si può sottrarsi. Immediatamente faremo una nota di approfondimento e segnaleremo al ministro delle Disabilità la necessità di correggere il provvedimento”.
Il presidente della Fish Vincenzo Falabella subito segnala la questione al ministro Erika Stefani. “E’ chiaro che con questa norma chi fruisce durante il periodo di prova degli istituti previsti dalla 104 rischia il collocamento, o peggio vi rinuncia per superare il periodo di prova. La norma così com’è discrimina i disabili o chi si fa carico di malati, una categoria che ha già forti problemi a ottenere un impiego e che ora faticherà di più grazie a questo pasticcio. Il punto è se e come il governo potrà rimediare, posto che ha molte emergenze da affrontare. Ma il punto è anche questo, la mancanza di relazione e confronto con il mondo della disabilità: esistono organizzazioni che possono essere coinvolte durante la fase di elaborazione delle norme, c’e pure la legge 117 che ne prevede il coinvolgimento, ma questo non succede e poi tocca rincorrere errori e dimenticanze”.
“Lo dice l’Europa!”, è uno dei refrain degli uffici ministeriali. In realtà è proprio un pasticcio italiano: la direttiva “madre” si limitava infatti a fissare il principio generale per cui “i periodi di prova dovrebbero inoltre poter essere prorogati in misura corrispondente qualora il lavoratore sia stato assente dal lavoro durante il periodo di prova, ad esempio a causa di malattia o congedo, per consentire al datore di lavoro di verificare l’idoneità del lavoratore al compito in questione”. Dunque l’Ue non ha “messo in bocca” ai legislatori nazionali gli “eventi” specifici che comportano o meno uno slittamento del periodo, sui quali è intervenuto invece il ministero riaprendo un derby tra diritti al lavoro e alla salute che è stato poi un grande tema dell’emergenza Covid ma che si abbatte ora sui più deboli.