La grande riforma per fronteggiare la crisi del gas legata a una guerra anche da noi voluta è arrivata: termosifoni a 19 gradi e tagliati di un’ora la sera. Una scelta che il governo avrebbe tra l’altro voluto evitare, quasi fosse una sanguinosa rivoluzione, ma che ad oggi – nonostante le centinaia di voli del premier in cerca di gas altrove – non è più rinviabile. Per chi si occupa di clima e ambiente, ma anche per qualsiasi cittadino dotato di buonsenso, c’è quasi da piangere. Anzi, il sentimento prevalente è forse un altro, la rabbia.
Ci troviamo infatti di fronte a misure minime, che non avranno nessun impatto sulla vita di tutti noi, anzi forse la miglioreranno visto che si viveva nell’assurdo di orari e gradi di accensione dei termosifoni sempre uguali da sempre, nonostante il clima invernale sia drasticamente cambiato. Col risultato spesso di vivere in edifici pubblici o privati iper-riscaldati, quando fuori splendeva il sole e magari la temperatura era persino superiore all’interno. Ma ciò che più fa rabbia non è tanto l’esiguità delle decisioni, si potevano anche osare i 18 gradi, nessuno muore a 18 gradi, ma il fatto che siano state prese solo ed esclusivamente dopo mesi di bollette folli, arrivate sia alle famiglie che alle imprese.
La domanda dunque è: ma perché queste misure banali, di buonsenso e che pure sembrano incidere parecchio sul risparmio del gas non sono state prese prima? Ovvero anni fa, o comunque mesi fa, visto che abbiamo un ministro della Transizione energetica? Perché i termosifoni non si sono abbassati con la motivazione, sacrosanta, di abbassare le emissioni, risparmiando gas? Cioè con l’intento di contrastare la crisi climatica e dunque tutelare la nostra salute? Macché. Mai nessuno ha parlato di abbassare termosifoni, spegnere lampioni, diminuire l’illuminazione dei monumenti a causa del cambiamento climatico. Ondate di calore mortali, aumento della temperatura, alluvioni, frane. Niente di tutto questo ha potuto per misure blande e tuttavia importanti.
I governi, l’ultimo governo si sono mossi solo di fronte alle mega-bollette, oltre che alla riduzione del gas a causa della guerra. Se ci si mette a ragionare di fronte a queste mancate scelte le risposte sono due: o l’ignoranza o la malafede. Io credo che ci sia un mix di entrambi, con maggiore enfasi, per questo governo, sulla malafede. Perché se tu sei un ministro della Transizione ecologica il tema del risparmio energetico lo devi mettere sul piatto appena sei eletto, così come devi parlare della riduzione dei consumi, del fatto che è necessario un minimo di “decrescita”, come la vogliamo chiamare, o comunque di contingentamento dell’uso di gas, elettricità, acqua, di tutto tutto. Risparmio, in altri termini, una parola che in sé non è negativa e non è chiaro come invece sia potuta diventare tale.
Allora perché il silenzio? Avanzo un’ipotesi: perché il gas è comunque un bene in vendita, proprio come l’acqua (e infatti pure le aziende partecipate hanno partorito blandi consigli di risparmio solo in quest’estate siccitosa fino all’estremo). E dunque diminuire il consumo di gas significa diminuire i profitti di chi il gas lo vende, così come l’acqua e tutte le materie prime. Mi viene da pensare che allora, se un ministro con tanto di laurea e specializzazione, non riesce a pensare e comunicare l’idea del risparmio energetico per abbassare la produzione di emissioni – a cui non frega niente a nessuno, come è evidente in questa campagna elettorale – allora è possibile che non lo faccia, ipotizzo, per non toccare gli interessi di chi quel bene lo vende.
Ovvio che, di fronte a bollette che mettono veramente in ginocchio famiglie e imprese, e di fronte soprattutto a un taglio del gas da parte della Russia, un passo si è dovuto farlo. Ma come al solito, spinti dalla necessità estrema, cioè senza pianificare nulla, solo per fronteggiare l’ondata, l’emergenza. Tutta la nostra politica d’altronde è così: vive nel presente, se non nel passato, e non riesce a partorire programmi che vadano oltre le immediate promesse, come questa campagna elettorale emblematicamente mostra. Per l’ambiente e la crisi climatica questa è una catastrofe, perché la lotta al clima che cambia la puoi fare solo pianificando. E comunque non la fai abbassando il termosifone di un grado.
Al solito, cambiamo solo quando arrivano i morti e i feriti. È così da sempre, anzi spesso neanche i morti e feriti bastano, visto che quest’estate tantissime persone sono morte, tra incidenti in montagna – vedi Marmolada – e ondate di calore, basti pensare al dato impressionante per cui la mortalità in Italia a luglio è aumentata del 21%, altro dato passato nel silenzio e nell’indifferenza generali.
Cosa dobbiamo sperare dunque? Che ci siano altre catastrofi? Che l’inflazione arrivi a livelli impensabili? Che insomma accadano cose tremendamente negative perché si arrivi a piccoli passetti, a piccole riforme positive anche per il clima? I nostri politici probabilmente ci ritengono stupidi. Pensano che non siamo in grado di capire un discorso articolato, in cui venga spiegato perché si prendono determinate misure anche in assenza di emergenze, anzi proprio per evitarle. O forse, più probabilmente, poco intelligenti sono loro, e d’altronde è possibile visti i loro curriculum modesti e spesso privi di qualsiasi titolo accademico. Purtroppo, però, siamo nelle loro mani e sono loro a prendere le decisioni che più contano. Possiamo votare, non altro. E per il resto vivere altrimenti, magari abbassando il termosifone ancora di più. In base a ciò che vediamo, sentiamo e capiamo da soli, non sulle decisioni di un governo che oggi appaiono ridicole e, soprattutto, fuori tempo massimo.