Nel momento in cui i combustibili fossili diventano economicamente insostenibili (e – forse qualcuno se lo scorda – subito dopo mesi di record di calore e siccità) l’ambientalismo può e deve gridare le sue ragioni. Tutte le sue ragioni, a partire da quelle che spesso vengono messe tra parentesi per timore di apparire stucchevoli, scontati e soprattutto impopolari. Si può e si deve dire che si è consumato e si consuma troppo, che ci si è abituati a sistemi economici e stili di vita insostenibili, che è ora di tirare il freno e di organizzare una sobrietà felice (o almeno, non infelice).

Certo, nello scrivere queste banali parole sono ben consapevole del fatto che l’attuale caro energia deriva principalmente da una speculazione finanziaria che si è innestata sulla crisi con la Russia, che non ci si può rassegnare a questi prezzi, che gli extraprofitti vanno recuperati. Ma sarebbe veramente un regresso tornare ai consumi soliti di gas e petrolio, anzi mantenerli perché in realtà non è che siano (ancora?) significativamente calati.

Con l’energia ancora a generazione prevalentemente fossile a questi prezzi, l’ambientalismo ha/avrebbe l’occasione storica per implementare tutte le sue ragioni, ispirazioni e proposte. Non soltanto per sostenere le energie rinnovabili. Certo, quella era ed è una rivoluzione tecnica e sociale imprescindibile, è già in atto e l’ambientalismo è nato col simbolo del “sole che ride” (contro il nucleare, tra l’altro). Ma comunque i consumi di energia attuali, almeno quelli del primo mondo, non possono essere mantenuti e interamente sostituiti da quelli prodotti con le rinnovabili. C’è da provvedere all’efficientamento e al risparmio energetico: in modo che per riscaldare o raffrescare occorra molta meno energia. Ma innanzitutto, o dopotutto (vedete voi), c’è la sufficienza energetica, cioè la rinuncia a consumi inutili, superflui, agli sprechi.

Queste misure sono praticamente le più semplici, se c’è il consenso, perché non comportano ristrutturazioni o investimenti significativi. Ma sembra che l’ambientalismo “ufficiale”, quello politico o delle grandi associazioni, non stia prendendo la parola per rivendicare provvedimenti contro gli sprechi.

I governanti vengono in questo caso lasciati da soli a sfidare chi si ritiene danneggiato da riduzioni del riscaldamento, del raffrescamento, dell’illuminazione. E’ come se l’ambientalismo ufficiale temesse di indebolire la battaglia per le rinnovabili. Si ha quasi paura di dire che in questi decenni, complessivamente, abbiamo consumato troppo, abbiamo utilizzato troppo i motori (e non potremo fare altrettanto con l’elettrico… facciamo i voli low cost elettrici?) ci siamo riscaldati o raffrescati troppo, abbiamo mangiato troppo, abbiamo buttato troppo, e che la transizione ecologica serve a salvare la civiltà umana.

Abbiamo avuto in alcuni momenti un ambientalismo coraggioso nel combattere il traffico motorizzato privato anche in città, dove la maggioranza ha l’automobile. Ora sembra che l’ambientalismo organizzato tema di dire che possiamo stare bene anche a 19 gradi d’inverno e a 26 d’estate, con i livelli di illuminazione degli anni ’90/2000, riducendo i rifiuti, sviluppando il riuso, dimezzando l’allevamento (non più sostenibile il mais in siccità). Abbondano le citazioni sulla necessità dell’economia circolare e della mobilità sostenibile, ma sono piuttosto pudichi i rifermenti concreti.

Per ultimo vorrei citare un articolo in cui mi sono imbattuto mentre pensavo a queste cose. Sul sito web del Fondo monetario un gruppo di ricercatori afferma che gli stati non dovrebbero più compensare gli extracosti delle bollette, dovrebbero farlo solo per i più poveri.

E’ ora di cambiare metodo: tali misure non solo ritardano il necessario adeguamento allo shock energetico, ma mantengono anche la domanda e i prezzi globali più alti di quanto sarebbero altrimenti”, avvertono gli esperti del Fondo. Semmai, le politiche dei paesi Ue “dovrebbero consentire che l’intero aumento dei costi del carburante passi agli utenti finali per incoraggiare il risparmio energetico e l’abbandono dei combustibili fossili”, ma “proteggendo al contempo le famiglie più povere”.

Dire addio agli aiuti a pioggia e concentrarli sulla popolazione più a rischio (per la precisione il 20% più povero della popolazione) comporterebbe una spesa media per i Paesi europei pari allo 0,4% dei loro Pil per il 2022. Proseguire invece con le misure adottate finora potrebbe portare a una spesa superiore all’1,5% del Pil. Celasun e colleghi (i ricercatori ndr), inoltre, sottolineano che poiché i prezzi dovrebbero rimanere elevati per diversi anni, “le ragioni per sostenere le imprese sono generalmente deboli”. Il timore di essere accusati di volere sacrificare il benessere non dovrebbe intimidire l’ambientalismo.

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