Vivo con sempre maggiore fastidio il commento che mi viene rivolto ogniqualvolta critico con ferocia il degrado generale della politica e della società italiana. D’accordo – mi viene detto – ma quale soluzione proponi? Come se la comprensione non fosse fondamentale, non solo in quanto tale, ma anche per permettere a chiunque di individuare quelle possibili soluzioni tanto desiderate. Però va bene, stavolta proverò a fornire non solo una soluzione, ma quella che reputo “la” soluzione per eccellenza al degrado vissuto dal nostro paese.
Ci arrivo con ordine, partendo da tre dati. Il primo riguarda l’astensionismo elettorale: i sondaggi di questi giorni sulle prossime elezioni ci dicono che il partito dell’astensione sarà di gran lunga il più “votato” (40% circa). Il secondo ci parla di un paese, l’Italia, che è penultimo in Europa per investimenti su istruzione, ricerca e cultura in genere. Il terzo, infine, concerne il livello culturale medio dell’opinione pubblica italiana, fra i più bassi all’interno dei paesi avanzati.
Il primo dato si spiega con la qualità scadente dei politici italiani, che dall’estrema sinistra all’estrema destra propongono perlopiù personaggi non qualificati, incompetenti, privi della visione di uno statista come anche delle proposte degne di un amministratore pubblico all’altezza. Il secondo e il terzo dato, invece, focalizzano l’attenzione sull’ignoranza diffusa (del resto, i politici provengono dal popolo, non sono extraterrestri piombati da un mondo altro), che ovviamente è anche quella di un’opinione pubblica largamente non migliore dei propri governanti, quindi non in grado di votarli con criterio o di giudicarne l’operato. Un’opinione pubblica che, lo abbiamo visto negli ultimi trent’anni, per larga parte si lascia abbindolare da venditori di fumo, imbonitori e perfino dilettanti allo sbaraglio. Senza contare le teorie strampalate e le superstizioni a cui buona parte della medesima opinione pubblica è pronta a credere con sicumera pari all’ignoranza, talvolta mettendo in pericolo la stessa sicurezza pubblica (il caso del Covid dovrebbe averci detto molto, in materia).
È possibile una sintesi del “problema italiano”? Sì, concerne l’incapacità ormai secolare del nostro paese di produrre e valorizzare il genio e il talento, premiando il merito invece di mortificarlo come troppo spesso accade. Dopo decenni di questa prassi sciagurata, sono venuti al pettine i nodi di una cultura familistica, che impiega le persone nei posti strategici in base alle logiche della cooptazione, della famiglia e della raccomandazione. Questo vale per la politica, ovviamente, ma concerne tutti i settori più importanti della società, che pullulano di figli e amanti di, o raccomandati da. Certo, nel caso dei politici la cosa desta maggiore scalpore e sdegno, sia perché il potere conferisce loro dei veri e propri privilegi (come quello di amministrare il paese da non laureati, mentre per le altre professioni vengono giustamente richieste qualifiche su qualifiche), sia perché possono fare danni che colpiscono tutta la popolazione (come di fatto è avvenuto).
Ecco, allora, che la valorizzazione del talento e del merito non riguarda soltanto il proposito generico (peraltro puntualmente sconfessato) di aumentare gli investimenti sull’istruzione e sulla scuola. Si tratta di concepire scuole e università per i migliori (con sostentamenti statali per quei giovani che provengono da famiglie più povere), ma si tratta anche di valorizzare sul serio titoli di studio e meriti acquisiti sul campo, organizzando in ogni settore (compreso la politica) modalità più rigorose di assunzione del nuovo personale e di attribuzione dei ruoli. Va combattuta in tutti gli ambiti e settori, insomma, la cultura della cooptazione e della raccomandazione, come anche quella degli automatismi negli scatti di carriera che non tengano conto del merito effettivo. Ammesso anche che l’Italia potesse permettersela nel secolo scorso, quando si trovava in una zona di mondo strategica e protetta – grazie alla Guerra fredda – è assolutamente sciagurato continuare ad attuarla nel mondo attuale, in cui il mercato globale impone una concorrenza sfrenata a tutte le nazioni.
L’alternativa è dover ogni volta ricorrere a un uomo della finanza come Draghi, che sa certamente gestire certe situazioni meglio dei nostri dilettanti allo sbaraglio, ma da cui non è lecito aspettarsi misure a favore del popolo. O ci convertiamo in fretta alla cultura del merito (che in politica significa competenza, preparazione e fedina penale pulita), oppure ci condanniamo al degrado e all’irrilevanza internazionale che già sono sotto gli occhi di tutti. Altro che i giochini dialettici tra fascisti e comunisti, populisti e democratici, sovranisti e globalisti. Il ruolo politico e culturale dell’Italia, come anche la sua sopravvivenza economica, si giocano su questo crinale complesso e delicato. Di cui stranamente non parla nessuno dei partiti in corsa per le prossime elezioni.