Le reazioni antitetiche provenienti rispettivamente dalla Russia (e Cina) e dall’Occidente, in primis dall’Europa, alla morte di Gorbaciov confermano la distanza siderale e la contrapposizione di valori identitari, prima ancora che di interessi economici e geopolitici, già drammaticamente evidenziati dalla guerra di Putin.

La freddezza e il distacco” sia mediatico che politico della Federazione Russa non si limitano al cordoglio formale e “forzato” di Putin ai familiari, con la sottolineatura involontariamente sarcastica, da parte di un oppressore dei più elementari diritti individuali e di un aggressore della sovranità di uno stato democratico, “della grande attività umanitaria, di beneficenza e illuminismo che Gorbaciov ha condotto in tutti gli ultimi anni.” Dal deputato di Russia Unita Andrej Medvedev infatti è stata sottolineata con malcelato compiacimento “la coincidenza quasi mistica” del quarto decesso dall’inizio “dell’operazione militare speciale” di un politico direttamente coinvolto nel crollo dell’Urss. E il forte valore simbolico della dipartita, nell’anno della decostruzione dell’ordine mondiale, del politico che “ha lasciato un’eredità peggiore della catastrofe causata da Hitler” non è sfuggito nemmeno a un altro rappresentante della Duma Vitalij Milonov, noto per la vicinanza a Putin come per l’ostentata omofobia.

Se, come ha ricordato tra gli altri Mattarella, con lui “scompare una figura che ha profondamente segnato la storia europea e gli equilibri mondiali”, sottolineando che “il debito nei suoi confronti è grande soprattutto da parte degli europei”, per il regime putiniano Gorbaciov è stato solo l’artefice della “fine indecorosa e umiliante della potenza sovietica” che ora deve essere ripristinata ad ogni costo. Ma anche, negli ultimi tempi e nonostante fosse già malato, era diventato di fatto “un oppositore” del regime che aveva cancellato con disprezzo il suo patrimonio di riforme, di cambiamento, di trasparenza facendo sprofondare la Russia nell’esatto contrario: un delirio imperiale di grandeur, rivalsa e paranoia in primo luogo nei confronti dell’Europa.

Aveva preso una posizione molto netta facendosi sostenitore anche economicamente di Novaya Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja, costretto a chiudere i battenti in Russia dall’inasprimento della censura con l’invasione dell’Ucraina. E da quelle pagine in un colloquio con il direttore Dmitri Muratov, anche lui come il padre della perestroika insignito di un Nobel per la pace, Gorbaciov aveva ribadito il disprezzo per la realpolitik, per la forza come strumento di imposizione dell’ordine mondiale, per la minaccia nucleare ripetutamente agitata da Putin, per il drammatico moltiplicarsi nel suo paese del numero dei detenuti politici che lui invece aveva liberato.

Si potrebbe di conseguenza dedurre che non sarebbe per nulla dispiaciuto per l’annunciata assenza di Putin ai suoi funerali, che come ha reso noto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov saranno una cerimonia di addio “con elementi da funerale di Stato”: insomma, qualcosa degna di un “romantico illuso che potesse esserci una pace duratura tra la Russia e l’Occidente” mentre ha aggiunto Peskov, ritenuto a lungo una colomba, “la sete di sangue dei nostri avversari si è manifestata ed è positivo che l’abbiamo capito in tempo”. Infatti la nomenklatura della Federazione Russa non vuole in alcun modo tributare funerali di Stato a quello che considera lo sfasciatore della sua potenza e pretende con l’aggressione all’Ucraina di “recuperare quello che è stato sparso in giro”, come ha twittato la propagandista Margarita Simonyan. Così dopo aver imposto mediaticamente un profilo bassissimo alla notizia usa, analogamente a quanto ha fatto con la guerra derubricata a “operazione militare speciale”, perifrasi mistificanti e ridicole per una miserevole propaganda.

Solo le voci degli oppositori, costretti ad operare con enormi difficoltà fuori dal paese come Muratov o a inviare messaggi da un carcere di massima sicurezza come Alexei Navalny, hanno espresso condoglianze sentite per la perdita di un protagonista del ‘900 che “ci ha regalato 30 anni di pace” e che in Russia “sarà valutato più favorevolmente dai posteri che dai contemporanei”. Riguardo la freddezza, il distacco, l’oblio che in patria hanno avvolto da anni Gorbaciov, e più ancora prima di lui Krusciov, Nina Krusheva in un’intervista a La Stampa ha osservato che “è il destino di chi ha provato a cambiare in tempi diversi un sistema dispotico. E guarda caso sono proprio loro oggi a godere di pessima reputazione fra la propria gente.”

Purtroppo stando agli indici, più o meno attendibili, che attribuiscono a Putin l’80% di gradimento e all’impopolarità che avvolge Gorbaciov, “colpevole” come sostiene Nina Krusheva di aver voluto riformare in senso democratico e salvare un sistema irriformabile “impossibile da proteggere”, vengono spontanei degli accostamenti storici. L’angoscia e lo smarrimento trasversali in tutti gli strati sociali, dagli alti dignitari agli umili servi, alla morte di Pietro il Grande, modello di riferimento esplicitato da Vladimir Putin, sono stati felicemente sintetizzati dallo storico e biografo Henri Troyat: “Qualcuno pensa che, sparito lui, la Russia non avrà un avvenire… In realtà il dispotismo è una droga indispensabile non solo a chi lo esercita, ma anche a coloro che lo subiscono. Alla megalomania del padrone fa riscontro il masochismo dei sudditi. Abituato alle ingiustizie di una politica di oppressione, il popolo soffre di esserne brutalmente privato…”

Pensare e sostenere che “Putin ha già vinto”, che la prevalenza bellica, economica, geopolitica della Federazione Russa è un dato fattuale a cui adeguarsi, che non si deve consentire all’aggredito di difendersi e che vanno rimosse le sanzioni è un programma di lunga vita per l’attuale “sistema dispotico”.

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