L’Unione europea affronta la più grave crisi energetica della sua storia. Le incertezze e i timori in vista dell’inverno sono molti mentre i prezzi di gas ed elettricità sono decuplicati nel giro di un anno. Ne parliamo con Matteo Leonardi, co-fondatore e direttore esecutivo, politiche nazionali di ECCO, il think tank indipendente per il clima, a cui chiediamo innanzitutto un’analisi della situazione attuale.
Abbiamo avuto due fasi di rialzi del prezzo del gas. La prima causata dalla ripresa delle attività dopo la pandemia e che aveva già portato le quotazioni su livelli storicamente elevati ma per ragioni riconducibili a dinamiche di mercato. Poi c’è stata la guerra in Ucraina che ha introdotto nel sistema altre logiche con il fattore bellico che è diventato la determinante dei prezzi. Siamo insomma in una fase in cui agiscono forze anomale. E’ normale che, in un contesto eccezionale, i prezzi siano insolitamente alti e di questo bisogna prendere atto. Detto in altri termini non esiste una guerra senza sacrifici. E questo i governi dovrebbero comunicarlo più chiaramente, perché è da questa consapevolezza che si può decidere come distribuire i sacrifici nella società. Si riduce prima il riscaldamento e l’aria condizionata o si fermano le industrie? Da gennaio a luglio 2022 i consumi elettrici in Italia sono aumentati del 2,7%, ma quelli industriali sono diminuiti del 2,8% con un crollo del 12% a luglio. È questa la nostra strategia? O serve rendere la popolazione partecipe dello sforzo. Per ora la politica non lo ha fatto, e non solo in Italia. Ha avuto paura di ammettere che siamo in una situazione di emergenza.
E come si reagisce a questa situazione?
Una parte importante del problema è che sinora si è fatto poco o nulla per ridurre la domanda, i consumi. È vero che abbiamo quasi riempito le nostre riserve di gas e che non possiamo fare altrimenti, ma lo abbiamo fatto pagando prezzi altissimi. Un conto è rifornire gli stoccaggi mentre si riduce la domanda, un altro è farlo senza cambiare nulla sul fronte dei consumi. In fondo la spesa, ricordiamolo, dipende dai prezzi ma anche dalla quantità di gas che si compra.
Qualcosa però inizia a muoversi. La Francia ha avvisato le imprese di preparare dei piani di razionamento. I paesi stanno mettendo a punto piani con misure tese a ridurre i consumi nel corso dell’inverno, un piano in tal senso è stato annunciato anche dall’Italia.
Si qualcosa si comincia a fare ma seguendo uno schema già definito che invece, tenendo conto che attraversiamo una fase del tutto particolare ed emergenziale, potrebbe anche essere ripensato. La sequenza è nota, prima si interrompono le forniture alle imprese energivore che di solito hanno contratti in cui l’ interrompibilità è esplicitamente prevista in cambio di prezzi dell’energia più vantaggiosi. Poi vengono le altre aziende e dopo ancora le utenze domestiche. Siamo sicuri che, nell’ambito di un contesto bellico perdurante, debba essere così e non si possa fare diversamente? Non dimentichiamo che c’è chi il razionamento sarà comunque costretto a farlo perché i rincari delle bollette incidono troppo rispetto al suo reddito mentre per chi ha redditi elevati lo sentirà appena. Eppure le misure valgono per tutti, senza particolari graduazioni, gli oneri di sistema sono stati tolti indipendentemente dai livelli di consumo e anche per le seconde case. Le misure per le famiglie sono generiche e non selettive, quelle per le imprese non sufficienti e non pensate per soluzioni strutturali, di efficienza e produzione rinnovabile, anche impiegando le risorse del Pnrr.
La Commissione europea ha annunciato di essere al lavoro per una riforma del mercato energetico europeo e dei meccanismi con cui si formano i prezzi. In particolare si parla di “decoupling”, il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità. Cosa ne pensa?
Il decoupling ha senso ma solo se viene fatto non come misura di emergenza ma nell’ottica di una riformulazione complessiva del disegno del mercato elettrico. Non va fatto solo perché in questo specifico momento le rinnovabili, divenute molto competitive, guadagnano troppo. Il sistema è stato concepito anni fa quando la generazione di elettricità da termoelettrico (gas, petrolio, carbone) era prevalente e le rinnovabili poco competitive. Uno scenario che da allora è profondamente mutato che cambierà ancora se vogliamo portare la generazione elettrica da rinnovabili al 70% entro il 2030 come previsto dai piani europei e italiani. Quello attuale è un meccanismo che si basa sul prezzo marginale, in sostanza si paga l’impianto che consente di chiudere la domanda. Questo sistema però va bene per le produzioni da termoelettrico dove i costi variabili incidono molto. Nelle rinnovabili viceversa pesano molto poco, conta invece l’investimento iniziale. Per questo chi produce con solare o eolico chiede soprattutto che i prezzi siano stabili in modo da pianificare più agevolmente gli investimenti. A maggior ragione se gli impianti sono finanziati a debito. Proprio per le forti oscillazioni dei prezzi una banca non accetta il sistema marginale a garanzia del prestito che eroga e quindi chiede interessi più alti.
L’Italia ora vuole rafforzare la sua dotazione di impianti di rigassificazione per accogliere le navi che trasportano Gnl, gas in forma liquida. Solo negli ultimi mesi Snam ha acquistato tre rigassificatori galleggianti, la ritiene una strategia giusta?
Questo dipenderà da come si evolveranno le cose, con quali tempistiche si tornerà verso condizioni normali. Con le scelte che facciamo oggi poniamo le basi perché una volta superata l’emergenza i prezzi tornino su valori giusti. La Germania gli impianti li ha noleggiati, noi li abbiamo comprati. Possiamo anche fare la scommessa di diventare una sorta di hub del gas per la Germania, quello che è certo è che i rischi sono tutti a carico dei consumatori e non degli azionisti delle società visto che i nuovi impianti sono garantiti da risorse pubbliche. Sono compatibili le nuove infrastrutture con lo sviluppo dei mercati energetici? Al 2030 il 70-80% del mercato elettrico dovrà essere fornito da fonti rinnovabili, oggi il 30% della domanda gas è usata nel termoelettrico. Un eccesso di infrastrutture gas dettato dall’emergenza e non coordinato con gli obiettivi sul clima prolungherà la crisi energetica una volta che le condizioni di approvvigionamento gas torneranno normali. Questo crea inevitabili problemi anche per le politiche di sviluppo delle rinnovabili, in forma di un raddoppio degli investimenti. Per farla semplice, perché fare un nuovo parco eolico se non ho ancora ripagato il rigassificatore e i prezzi gas sono scesi? Ma se faccio così non rispetto gli obbiettivi clima che offrono al contempo gli strumenti per emanciparsi dalle fossili e uscire dalla volatilità e dai rischi a questi connessi.
Investimenti in rinnovabili che peraltro continuano ad incontrare difficoltà…
In Italia c’è ancora un grave problema di iter amministrativo e autorizzazioni. Da gennaio a giugno sono stati autorizzati grandi impianti per appena 2 Gigawatt, avrebbero dovuto essere dieci volte tanto. Solo gli impianti di piccola taglia, per iniziativa decentrata dei privati, registrano un significativo aumento con un raddoppio delle installazioni rispetto al 2021. E questo dipende prevalentemente dall’incapacità dello Stato di conciliare lo sviluppo delle Fer con le strutture amministrative regionali e con il ministero dei beni culturali. La Via nazionale è bloccata e le Regioni approvano a macchia di leopardo in maniera umorale. Gli unici impianti eolici di grande taglia sono stati autorizzati direttamente per firma del presidente del Consiglio. Vogliamo affrontare la crisi cosi? Poi le imprese dovranno affrontare le difficoltà dei mercati, perché arrivati in ritardo, non è facile trovare i materiali per gli impianti, ma questo non deve essere una scusa per rallentare le autorizzazioni, anzi al contrario bisogna alleggerire le difficoltà e gli oneri per le imprese grado di sviluppare impianti rinnovabili.