Oggi a Palermo i palermitani onesti ricordano il carabiniere ex partigiano dalla Chiesa, morto per difendere la città. Fu tra i primi, con Pippo Fava, a denunciare i “cavalieri dell’apocalisse” catanesi, la nuova generazione dell’impresa mafiosa. Ebbe chiarissimo il senso della mafia non come delinquenza marginale, ma come vero e proprio potere. Credette nella guerra fra mafia e Stato, anche se da quest’ultimo fu lasciato solo.

L’anima della Resistenza antimafia, nel suo senso nazionale e profondo, si sintetizza in due nomi diversissimi, Carlo Alberto dalla Chiesa e Peppino Impastato. Così, nella Resistenza di prima, il generale Montezemolo e il comunista Giambone, comandanti partigiani a Roma e a Torino.

La Palermo di oggi, coi suoi tristi notabili applauditi dai mafiosi, non è certo degna di ricordare questi nomi; solo una minoranza può farlo senza ipocrisia. Ma chi studia la storia ne valuta freddamente gli alti e i bassi: oggi la servitù, domani i vespri. Noi, in questo momento, rivediamo la folla di quelle primissime ore, di quella sera. I nostri eroi sconosciuti, i capi dei nuovi vespri: Angela Lo Canto del coordinamento antimafia, Vito Mercadante il preside partigiano, il nostro Antonio Cimino dei Siciliani. E dietro migliaia di palermitani, illuminati dalle fiaccole a rompere la notte nera.

Là, per la prima volta coscientemente, marciammo con lo sconosciuto coetaneo Nando, sessantottino anche lui, pure lui destinato a dedicare la vita a questa nostra nuova rivoluzione. Su di lui, ferocemente, piovvero subito gli insulti dei Montanelli, degli Andreotti, dei giornalisti di Ciancio, dei borghesi. Lui strinse i denti, senza mostrare lacrime, e andò avanti. E tuttora noialtri, e migliaia di palermitani e siciliani e italiani onesti, continuiamo a camminare con lui. Sempre insieme.

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