Il tetto al prezzo del gas invocato da tutte le forze politiche in Italia e auspicato venerdì anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen? Non è previsto nella bozza di documento con i possibili interventi anti rincari preparata in vista del vertice Ue del 9 settembre. Che sia perché Gazprom ha interrotto i flussi verso l’Europa e sembra improbabile che li riattivi o perché l’attuazione sarebbe complicatissima, il “non paper” che l’esecutivo Ue intende presentare ai ministri dell’Energia dei 27 si concentra su altro. Il pacchetto di proposte (ancora in versione preliminare) è incentrato sulla riduzione della domanda di elettricità e sulla fissazione di un limite al prezzo dell’energia elettrica prodotta da fonti diverse dal gas – in particolare le rinnovabili, che hanno costi più bassi, ma anche il nucleare nei Paesi in cui è utilizzato – per ricavarne risorse con cui ammortizzare i costi delle bollette per “alcune tipologie di consumatori”. Insomma: i produttori da quelle fonti dovranno condividere i loro extraprofitti.
Il primo passo, secondo la Commissione, è il risparmio di elettricità che dovrebbe andare in parallelo con la riduzione dei consumi di gas, che già in questa fase è risorsa scarsa e con tutta probabilità lo sarà sempre di più visto che Gazprom ha chiuso i rubinetti. Il regolamento adottato a luglio prevede riduzioni volontarie della domanda di gas del 15% fino a marzo 2023, con eccezioni – per l’Italia la quota si ferma per esempio al 7%. I tagli diventeranno obbligatori solo nel caso in cui Bruxelles dichiari una “allerta dell’Unione” sulla sicurezza dell’approvvigionamento, scenario che le mosse del fornitore russo potrebbero avvicinare. Il non paper evidenzia che questo non basta: bisogna agire anche sulla domanda di elettricità puntando a ridurla soprattutto nelle ore di picco, in modo da contenere i prezzi. Lo strumento principale ipotizzato per raggiungere l’obiettivo sono aste a cui parteciperebbero industrie o gruppi di consumatori offrendo di ridurre i loro consumi in cambio di una compensazione economica e incentivi alle famiglie che riescono a consumare meno.
Il secondo intervento è appunto il price cap sulle tecnologie “inframarginali“. La definizione è legata al fatto che oggi in Europa vige il meccanismo del prezzo marginale, che lega il costo dell’elettricità a quello del gas: il prezzo in pratica riflette i costi sostenuti dall’ultimo impianto che si attiva per soddisfare la domanda espressa dal mercato. E che quasi sempre è una centrale a gas. Da più parti è arrivato in questi giorni l’auspicio che il meccanismo sia modificato: “L’aumento vertiginoso dei prezzi dell’elettricità sta mettendo a nudo i limiti dell’attuale struttura del mercato elettrico, che è stato sviluppato per circostanze diverse”, ha riconosciuto pochi giorni fa la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. In attesa di una riforma strutturale, la proposta è quella di limitare gli extraprofitti dei gruppi che producono energia da rinnovabili e nucleare mettendo un tetto: “Sarebbero tenuti a condividere i loro ricavi con i consumatori di elettricità, con l’obiettivo di abbassare le loro bollette”, si legge nel non paper. Un modo per far sì che le misure anti rincaro non pesino solo sui bilanci pubblici.
Con i proventi, infatti, gli Stati potrebbero finanziare aiuti mirati, tariffe regolate o riduzione delle imposte che pesano sulle bollette. Gli Stati membri sarebbero liberi di scegliere come intervenire, anche se la Commissione non nasconde di avere una preferenza: la regolazione dei prezzi al dettaglio, notano i tecnici, “rischia di distorcere i mercati liberalizzati”, mentre un supporto diretto al reddito “rimane più ampiamente utilizzato e facile da gestire”.
Le tabelle finali citano anche altre possibili strade, che la Commissione scrive di aver esplorato e di non ritenere interessanti: dal congelamento del mercato elettrico con sospensione delle vendite tra Paesi alla fissazione di un limite predefinito al tetto dell’elettricità per i consumatori – come da proposta del Pd – all’allargamento a tutta Europa del “tetto iberico”, che di fatto comporta però un finanziamento da parte dei consumatori alle aziende energetiche che producono da centrali a gas. Quest’ultima opzione costerebbe a livello continentale centinaia di miliardi e ridurrebbe gli incentivi a ridurre l’uso di combustibili fossili. Per lo stesso motivo, e anche per il fatto che non contribuirebbe a ridurre la domanda, viene bocciata l’ipotesi di sussidiare i produttori compensandoli per il costo delle quote di Co2 che devono acquistare in base al sistema europeo Ets.