“Mi prepari una strategia” è una frase che nel mio lavoro di consulente ho più volte, spesso a mo’ di sfida, ascoltato da parte piccoli imprenditori in merito ad una richiesta di riorganizzazione aziendale che poteva riguardare gli aspetti commerciali, produttivi, la logistica, la progettazione o l’area amministrazione & finanza. Quasi una provocazione, basata sulla radicata convinzione che il successo di una piccola azienda dipenda sempre da intuizioni “individuali” e dando per scontato che sia impossibile costruire in modo scientifico e sistematico un progetto strategico. La mia risposta, cioè la pianificazione strategica, dopo un congruo periodo di analisi organizzativa, è contenuta in un documento che non contiene più di venti parole che deve identificare tre cose: il segmento di clientela da servire, la proposta di valore (ciò che si vuole offrire al cliente target ma anche ciò che non si può offrire) e le sue caratteristiche distintive rispetto alla concorrenza (quanto la proposta di valore si discosta dalle alternative concorrenti).

Basta, non di più! Venti parole facili da capire e da comunicare per trasmettere chiarezza soprattutto all’interno della compagine proprietaria. Magari utilizzo anche un modello narrativo del tipo: “C’era una volta un tizio (il segmento di clientela target)… ogni giorno lui manifestava la sua frustrazione per (il bisogno insoddisfatto)… un giorno abbiamo sviluppato (il prodotto-soluzione e le 2-3 cose che offre o meno)… finché alla fine abbiamo ottenuto (il risultato finale per il cliente rispetto alla concorrenza)…” Può sembrare semplice ma è molto più difficile di quanto sembri. Il vincolo delle 20 parole è, infatti, una reazione alla provocazione per far emergere una profonda mancanza di allineamento fra i componenti la proprietà di una piccola impresa che, scimmiottando quanto avviene nelle grandi imprese, si aspettano un documento lungo e spesso assai vago. In una dichiarazione pianificazione strategica di 150 pagine si può dire tutto quello che si vuole, il che significa non fare nulla e far sentire tutti i proprietari-manager a proprio agio nell’azienda.

Ma il problema è che i proprietari-manager interpretano quelle 150 pagine in base alla loro visione e aspirazione della strategia aziendale con il risultato di trovarsi di fronte un solo documento e molte diverse strategie. Con la semplificazione, però, si raggiunge un risultato ancora più importante: far assumere consapevolezza che il problema non è scrivere la strategia, ma piuttosto elaborare i (pochi) dati-numeri che sussistono in una piccola realtà per arrivare a definire gli obiettivi. Un po’ come chiedere a un principiante di preparare una pietanza a base di pesce dopo aver letto la ricetta di un masterchef: senza la materia prima (il pesce) e la competenza (del masterchef) potrebbe anche riscrivere quella ricetta come Dante Alighieri, ma sicuramente farebbe digiunare gli ospiti.

Indipendentemente dalla dimensione aziendale è infatti sempre più importante prendere decisioni basate su informazioni aggiornate che possano generare simulazioni affidabili. Acquisire un vantaggio competitivo dipende non solo dalla capacità di raccogliere dati e immagazzinarli, ma anche di lavorarli in modo corretto per ottenere informazioni di valore. Big Data non significa esclusivamente grandi quantità di dati, ma soprattutto dati di diverse tipologie analizzati in tempo reale per trasformarsi in conoscenza. Ma quanti non sono riusciti a cogliere e sfruttare intuizioni strategiche (e sono andati in default) perché non sapevano (e forse neppure possedevano) interpretare quei pochi numeri-indici sufficienti per scrivere una strategia? Tanti ancora non riescono neppure a calcolare la giusta forbice finanziaria commerciale (differenza tra la dilazione media di incasso e la dilazione media di pagamento). Qualcosa si inizia a muovere in termini di consapevolezza, ma la strada è ancora lunga.

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