“Nunca mas”. Mai più. L’arringa finale del procuratore Julio Strassera (Ricardo Darin) contro i nove militari della Giunta Militare argentina responsabili di sequestro, tortura e omicidio di oltre 30mila dissidenti politici, risuona limpida e poderosa nelle sale del Lido di Venezia. Argentina 1985, film diretto da Santiago Mitre, irrompe in Concorso mostrando un episodio storico sconosciuto ai più, almeno a livello europeo: il processo intentato dallo stato argentino a generali e ammiragli vari, autori del colpo di stato durato dal 1976 al 1982. Una “Norimberga” fatta in casa, nemmeno due anni dopo il ristabilimento di un sistema democratico nel Paese (il socialista Alfonsin venne eletto presidente nel 1983), con ancora funzionari e alte cariche istituzionali legate a triplo filo con il reazionarismo fascista dei generali. Dapprima riluttante ed evasivo, il borghese di mezza età Strassera, moglie idealmente barricadera, figlia grande (che frequenta un uomo sposato) e figlio piccolo perspicace e acuto, sorta di componente di una maggioranza silenziosa che durante la dittatura “non agì” come avrebbe dovuto, assume di sé la responsabilità di una rinascita popolare nel segno della verità e della giustizia che farà autenticamente la storia.
Nessun eroismo o mitologia, ma solo tanta riconoscibile ed oggettiva differenza tra un bene e un male. Oltre la sbarra, in alta uniforme, i generali Videla (che durante l’arringa di Strassera legge la Bibbia), Galtieri, Massera, Viola, Agosti, Graffigna, Dozo, e gli ammiragli Anaya e Lambruschini (che ad un certo punto fa il gesto dell’ombrello verso il pubblico in aula). Dietro al banco dell’accusa Strassera con il suo team di giovani avvocati e assistenti che per la prima volta raccolgono e portano a processo quasi 800 testimonianze dirette delle atrocità commesse dai torturatori e assassini di stato. Risuolato con un andamento storico narrativo non proprio da classico court room movie – la sentenza è declamata al telefono a casa di Strassera – Argentina 1985 è uno di quei film nei quali si aziona il pilota automatico dell’emotività dell’anima e del rispetto per gli oppressi correndo rapidi verso una epocale vittoria. Il tono generale dell’opera, si sappia, non è per nulla solenne o retorico.
Semmai è proprio nella volontà di rendere “normale” il vissuto di figure involontariamente eccezionali, attraverso un alleggerimento del linguaggio tecnico giuridico, di venature ironiche negli incontri ufficiali (procuratore capo, ministri, casuali sgherri persecutori di Strassera in strada), che Mitre centra l’obiettivo di un cinema onesto e commerciale capace di mettere d’accordo palati di ogni tipo. Come accade del resto simbolicamente nel film per la madre alto borghese con parenti militari dell’assistente del pm che andava a messa con Videla, ma che dopo le udienze scioccanti del processo si ricrede delle nefandezze compiute dai generali. Darin, infine, impomatato, baffuto e stretto in abiti e occhialoni d’epoca, dà vita a un uomo delle istituzioni che antepone le leggi democratiche a supposti stati emergenziali. Elemento chiave di lettura universale di un ruolo, quello della giustizia ordinaria, su cui inconsciamente nel corso di fine novecento e inizio duemila si riversa (non sempre ripagata) la fiducia popolare. Due dettagli da segnalare: prima produzione di Amazon nel cinema argentino; una marea scrosciante di applausi alle proiezioni per gli addetti ai lavori.