Gli italiani sono preoccupati per il loro benessere. Ma forse, non abbastanza. I prossimi anni saranno difficili per l’economia globale; non è un bel momento per sognare: il risveglio potrebbe essere duro. Per difendere i livelli di benessere gli elettori faranno bene a mettere alla guida del governo un presidente del Consiglio molto capace di gestire l’economia. Possibilmente sostenuto da una classe politica non incline ad aprire guerre di religione, a dividere il Paese sui fondamenti del vivere civile.

Oggi l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale è focalizzata sulle borse (crollano), le banche centrali (alzano i tassi d’interesse), l’inflazione, la crisi energetica. Il presidente della Fed americana ha avvertito solo pochi giorni fa che intende alzare i tassi d’interesse più del previsto e ciò metterà in crisi la crescita e l’occupazione (“pain”). Ma altri problemi – soprattutto in altri continenti – complicano ulteriormente la situazione.

La mega bolla speculativa di borse, criptovalute e obbligazioni sta scoppiando, lasciando una scia di mutui e debiti privati che, con l’economia ferma, sarà più difficile onorare. La gente perciò risparmierà di più e consumerà di meno. Nello stesso momento, i governi di tutto il mondo stanno avviando una fase di austerità fra le più gigantesche che il capitalismo ricordi, per rientrare dai debiti creati durante la pandemia. Si tratta di altre due spinte recessive che si sommano a quelle delle banche centrali.

L’Europa e il Giappone, grandi importatori netti di energia, subiscono l’aumento dei prezzi internazionali del petrolio e del gas (+650% dai minimi del giugno 2020): il loro surplus commerciale è praticamente svanito. Correttamente, la Bce aspetta ad alzare i tassi d’interesse, per guidare prima al ribasso il cambio dell’euro: direi che ormai quasi ci siamo. Ma altri Paesi, soprattutto africani, subiscono l’impennata dei prezzi dei fertilizzanti e dei cereali: i governi ne sono destabilizzati (Sri Lanka). Anche l’economia cinese è avvolta in una ragnatela di problemi che vanno dal Covid alla crisi del mercato immobiliare.

A complicare il quadro ci si mettono i problemi “di lungo termine”, dall’invecchiamento delle popolazioni alla crisi climatica fuori controllo. La crisi idrica aggrava le crisi energetica, agricola, e sanitaria; la “transizione verde” è in stallo quasi ovunque perché mette sotto pressione le terre e i metalli rari, producendo altra inflazione.

In questo quadro di stagflazione e tendenziale de-globalizzazione, l’Italia non è un “vaso di coccio”: molti paesi poveri sono più fragili. I Paesi ricchi, quando certe risorse diventano scarse, pagano un prezzo più alto e si accaparrano ciò di cui hanno bisogno. L’Italia inoltre, in conseguenza delle politiche di austerità del decennio scorso, ha pagato tutto il suo debito estero; anche il saldo commerciale (nonostante l’energia) è ancora leggermente positivo. L’inflazione sotto la media europea mantiene la competitività. Ma il Bel Paese ha le sue fragilità e rischi.

Il primo rischio sono le spinte disgregatrici. È il momento di essere uniti, come italiani, come europei e occidentali. La Russia comincia a capire di non poter vincere con le armi la guerra (mondiale?) iniziata in Ucraina, ma conta ancora di vincere dividendo e destabilizzando il fronte delle democrazie dall’interno; a cominciare dall’Italia. Smentire queste aspettative è il miglior contributo che gli elettori italiani possono dare alla pace, premessa di un allentamento delle crisi summenzionate.

Il debito pubblico è (con l’energia) il nodo economico principale, perché i margini di manovra sono ora limitatissimi. Si suole citare “il rischio” che gli spread (l’interesse che lo Stato paga sul debito pubblico) salgano. Ma in realtà gli spread sono già molto alti (230 bp sul Btp decennale), un livello che non esiste altrove nel mondo sviluppato (se i tassi decennali sono parametrati ai “tassi di policy”): lo Stato italiano regala ai “cravattari” dei mercati finanziari circa 10 miliardi ogni anno (sottratti alle famiglie); e le imprese italiane pagano caro il credito. Anche le prospettive appaiono precarie. Le attuali regole (Maastricht) limitano le possibilità della Bce di contenere gli spread, destinati ad aumentare con l’incedere della recessione. In questo frangente, il rispetto delle promesse elettorali (ridurre le tasse, alzare gli stipendi, sterilizzare le bollette, ecc.) rischia di essere un boomerang.

Sarà cruciale per l’Italia partecipare alla discussione sulla riforma delle regole dell’euro, che si è aperta di recente. Con una visione su come azzerare (quasi) gli spread senza aggravare i problemi di azzardo morale, cruciali in ogni unione monetaria. Si tratta di proporre un cambio di paradigma radicale, che rimuova il nodo che soffoca l’Italia, ma al tempo stesso sia più che accettabile per gli altri Paesi membri; gli spazi per la politica di bilancio seguirebbero. Ma attenzione agli apprendisti stregoni.

Quando il gioco si fa duro, è il momento di schierare i duri. Oppure, di pagare conti salati. Gli elettori hanno in mano una parte cospicua del proprio destino. Occorre mettere da parte paura, rabbia, avidità per le mance politiche, e votare con freddezza, in modo adulto, senza illusioni. Tanto richiede la difficile navigazione nel mondo in tempesta.

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