Revisione? Riscrittura? Rimodulazione mirata? Di sinonimi è pieno il vocabolario del centrodestra. La coalizione che sembra avviarsi a costituire il prossimo governo vuole mettere mano al Piano nazionale di ripresa e resilienza, quello che una volta si è chiamato Recovery plan e da ultimo ha assunto l’acronimo di Pnrr. Ancora oggi sui giornali ne parlano esponenti di Fratelli d’Italia e della Lega e d’altra parte la questione è in uno dei primi punti del programma di coalizione. Anche se quello di FdI – impegnata ad accreditarsi come “governista” sui conti pubblici – è assai cauto e si limita a ventilare di “proporre alla Commissione modifiche specifiche nei limiti di quanto stabilito dall’art. 21 del Regolamento europeo sul Next generation Eu”.

Del resto ieri un avvertimento, piccolo o grande andrà valutato, è arrivato dal ministro dell’Economia uscente, Daniele Franco. Il braccio destro del premier Mario Draghi, dal Forum Ambrosetti di Cernobbio, ha puntualizzato: “Credo che non sia pensabile riscriverlo, perché sarebbe un modo per bloccarne la realizzazione“. Il ministro aggiunge che “i costi di produzione delle opere stano salendo e dovremo trovare modalità di finanziamento per poter costruire tutte le opere previste”. Pesa ovviamente anche il rincaro energetico: “E’ evidente che stiamo trasferendo all’estero una parte del nostro potere di acquisto. Se si guarda alla bolletta energetica del Paese, cioè quanto costano le importazioni nette di energia, vediamo che nel 2021 era di 43 miliardi e nel 2022 potrebbe salire a 100 miliardi. Un aumento di 60 miliardi significa circa 3 punti di Pil e vuol dire un deflusso di risorse dall’Italia verso l’estero”.

Il Pnrr in ogni caso “è fondamentale” perché “mira ad accrescere la crescita nel medio termine”. Su quest’ultimo concetto sarà certamente d’accordo anche tutto il centrodestra che però da giorni ha cominciato a dire che ora – con l’emergenza gas e gli altri indicatori economici affaticati – le priorità per l’Europa e per l’Italia sono altre e cioè, detta grossolanamente, per esempio un po’ meno transizione ecologica e un po’ più priorità all’autosufficienza energetica (le due cose peraltro andrebbero pure insieme nel lungo periodo, se ci fosse la volontà politica). Dal punto di vista procedurale Fratelli d’Italia avrebbe già trovato la norma su cui poter fare leva: l’articolo 21 del Next Generation Eu prevede che un Paese può presentare una “richiesta motivata di modifica”. Giovanbattista Fazzolari, diventato il principale portavoce di Fdi in questi giorni poiché è uno degli autori del programma del partito, spiega: “Il Pnrr nasce in un momento storico diverso, con una pandemia cui far fronte ma prima della guerra e dell’emergenza energetica”. L’esponente di Fratelli d’Italia sottolinea, parlando con Repubblica, che “il governo dei migliori nel 2021 ha raggiunto solo un terzo degli obiettivi assegnati: i ritardi non sono addebitabili a noi”. E quindi la mette giù: “Dobbiamo rispettare il contratto spendendo soldi su traguardi inutili quale, non so, l’informatizzazione di Inps, Inail e Istat o trovare le risorse per liberare il nostro Paese dalla dipendenza energetica dalla Russia?”.

Ma c’è anche la questione dei tempi perché ogni sei mesi la Commissione europea controlla che i paesi abbiano completato scadenze e obiettivi e solo dopo procede all’erogazione dei fondi. E tra la campagna elettorale, l’insediamento del Parlamento, la formazione del governo, il rischio concreto per l’Italia è quello di perdere una cascata di miliardi. Da qui l’avvertimento di Franco. A rassicurare, sempre su Repubblica, è Raffaele Fitto: “Siamo in grado di rendere il Pnrr coerente con la nuova realtà senza perdere fondi: il resto sono allarmi da campagna elettorale”. Per saperlo basterà aspettare qualche settimana.

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