“Tra gli architetti in Svezia si usa poco la partita Iva. Puoi lavorare da freelance, ma non ci sono aspetti positivi nel farlo: tutti gli studi di architettura propongono contratti a tempo indeterminato da subito, con un periodo di prova di sei mesi che è quasi impossibile vada male”. Veronica Gerini, 34 anni, è nata e cresciuta a Treviso. Si è laureata in Architettura all’Università Iuav di Venezia e poi è partita per la Svezia, dove vive da dieci anni. “Quello che ho fatto in Italia – racconta – è stato un percorso accademico tra i migliori. Ma quando ho cominciato la specialistica ho trovato quasi gli stessi corsi della triennale: un passaggio poco stimolante, che non si discostava molto dall’architettura tradizionale”.
Così, spinta anche dalla voglia di perfezionarsi all’estero, Gerini manda il curriculum a varie università, tra cui quella di Umeå, in Svezia, che le interessa per l’approccio interdisciplinare. E la sua candidatura è accettata: “Nel master non c’era solo progettazione e costruzione, come in Italia, ma anche ricerca su impatto sociale dell’architettura e social housing. Ogni volta che lavoravamo a un progetto – racconta – c’era un confronto sugli aspetti sociologici. Quindi arrivi alla costruzione con una visione più completa”. Quest’osmosi tra edilizia urbana e società è il motivo che ha convinto Veronica a partire ma anche a rimanere quando le cose sembravano più difficili. La sua esperienza, infatti, non è iniziata da Stoccolma, capitale internazionale e ricca di opportunità, ma dalla cittadina del nord della Svezia di 80mila abitanti dove ha fatto l’Università, Umeå. “Ho visto la Svezia da cui tanti sarebbero scappati – spiega – Qui sono tutti gentili ma molto inquadrati e mi è servito del tempo per capire i loro usi e costumi. È stata dura perché siamo società diverse, ma avevo un obiettivo e l’ho perseguito”. Così dopo il master, in lingua inglese e con studenti da tutta Europa, invia il curriculum agli studi di Stoccolma e viene respinta perché non conosce lo svedese, ma rimedia presto. “Il mio primo impiego è stato in una città ancora più piccola di Umeå, Örnsköldsvik”- che ha circa 30mila abitanti. “Ho trovato lavoro con contratto a tempo indeterminato un mese dopo la laurea – spiega Veronica – e lo avrei trovato anche prima se avessi conosciuto la lingua. Tutti qui parlano inglese, ma se vuoi fare un certo tipo di carriera devi imparare lo svedese”.
Una volta iniziato, è stata l’azienda a pagarle un corso: “Hanno investito su di me, e grazie a quell’esperienza negli anni a seguire si sono aperte tante porte”. Passa a Örnsköldsvik due anni e poi tenta di nuovo di arrivare a Stoccolma: “A Örnsköldsvik stavo bene ma c’era poca interazione sociale e trovare qualcuno della mia età era difficile, perché quasi tutti vanno a vivere lì introno ai 45-50 anni, dopo aver fatto carriera nella capitale”. Così lei e suo marito, architetto anche lui, lituano, e conosciuto al master, inviano candidature a tutti gli studi di architettura della capitale e ricevono risposte favorevoli. “A Stoccolma mi hanno fatto un contratto con le stesse tutele del lavoro precedente e mi sono state date opportunità di crescita”. Il sistema di welfare svedese investe in modo sistematico nella realizzazione di edifici pubblici per educazione e assistenza: dagli asili nido alle Rsa. Gerini, che oggi nello specifico fa la manager di progetto, spiega che proprio per l’assetto sociale svedese il suo mestiere è molto richiesto, sia nel pubblico che nel privato. “C’è un gran bisogno di architetti – dice – Nel pratico, il mio lavoro è simile a quello che farei in Italia, cioè progettare e costruire ma ci sono arrivata con una formazione interdisciplinare”. Progredire non è stato immediato, “Essere una donna giovane e straniera mi metteva sempre a un livello diverso del tavolo, ma ho imparato a non sottovalutare le mie capacità. Oggi gestisco diverse persone nel mio studio e coordino tutti i professionisti coinvolti nei progetti, dai costruttori agli ingegneri”.
Per quanto anche lei abbia fatto la gavetta, se si confronta con gli amici e colleghi che ha lasciato in Italia, vede meccanismi diversi: “Qui non esistono collaborazioni a partita Iva: sei assunto a tempo indeterminato e basta. Questo ti dà molta sicurezza. In Svezia i sindacati hanno un potere forte e c’è molta attenzione al lavoratore”. Quando parla a ilfattoquotidiano.it, Veronica Gerini è diventata mamma da nove giorni, quindi spiega cosa voglia dire per lei avere questo tipo di tutele: “Lo Stato dà diritto a 480 giorni di ferie retribuite da dividere tra i neogenitori e incoraggia a dividerli equamente: io e mio marito faremo a metà. La maternità qui non è mai vista come una cosa negativa”. Una differenza colossale con i suoi colleghi italiani: “Molti dei miei più cari amici in Italia sono architetti, zero di loro ha un contratto a tempo indeterminato. Nessuno ha figli al momento e lavorano tutti a partita iva per degli studi”. Questo è il vero motivo per cui vede difficile un ritorno a casa, anche se ne sente il bisogno: “Mi manca la generosità italiana, la semplicità con cui la gente di dà una mano. Questa è la grande differenza tra i due Paesi: in Svezia si fidano dello Stato a occhi chiusi, mentre in Italia le persone si sostengono sempre tra loro, perché sanno c’è non c’è un sistema alle spalle che li aiuti”.