Politica

Università, la politica ne capisce poco: attenzione alle visioni troppo generiche

L’Università pubblica dovrebbe costituire un capitolo importante nel programma politico di qualunque partito; purtroppo è un ambito del quale la politica spesso capisce poco ed è viziato da preconcetti populisti, che oscurano la complessità delle funzioni, spesso autocontraddittorie, che le sono attribuite.

La prima missione dell’Università è la formazione: l’Università costituisce il livello più elevato del percorso formativo aperto ai cittadini. Fornisce ai giovani l’accesso a mestieri e professioni, ed è un ascensore sociale che apre ad un inserimento lavorativo più agevole e meglio remunerato. Chi nega questo ovvio ruolo dell’Università inganna se stesso e fa una propaganda qualunquista. Per assolvere questa funzione è essenziale una Università “estesa”: sono essenziali le università periferiche e le sedi distaccate, che portano la formazione alle persone, a costi accessibili, e riducono i fenomeni del pendolarismo e degli studenti fuori sede. L’Università estesa ambisce ad essere una Università di massa, accessibile a tutti, e per necessità si pone l’obiettivo di offrire uno standard qualitativo omogeneo sul territorio nazionale, con costi (per lo stato e per gli studenti) sostenibili, piuttosto che la ricerca dell’eccellenza.

La seconda missione dell’Università è la ricerca, lo sviluppo e la competizione culturale, che include anche l’innovazione tecnologica con le sue ricadute applicative. Per molti versi richiede requisiti opposti a quelli della prima missione: grandi università ben collegate tra loro e con le realtà produttive del paese, cioè l’opposto della decentralizzazione. La ricerca è un’impresa costosa, che insegue l’eccellenza anziché l’accessibilità e la diffusione. Entro certi limiti può essere sostenuta dalla collaborazione con l’imprenditoria privata, ma non si deve sottovalutare il fatto che l’imprenditore privilegia l’applicabilità, che non coincide necessariamente con la scoperta.

Da ultimo deve essere considerata la terza missione, cioè la ricaduta immediata sul tessuto sociale: gli ospedali universitari, i dipartimenti di progettazione, la diffusione della cultura, la divulgazione, e tutte quelle attività pratiche e culturali che sono inseparabili dalla formazione e dalla ricerca: nel Policlinico universitario la formazione dello studente in medicina, la ricerca medica e la cura del paziente si integrano tra loro in modo inscindibile, e il Policlinico appartiene tanto al sistema formativo universitario quanto al servizio sanitario nazionale.

Sebbene ogni università pubblica debba necessariamente integrare le tre missioni, cercando il necessario compromesso, è l’indirizzo politico a determinare il peso relativo da assegnare a ciascuna: ad esempio il decentramento e la razionalizzazione dei percorsi formativi furono soprattutto dovuti agli interventi dei ministri Berlinguer e Zecchino, di area centro-sinistra, chiaramente più attenti alla missione formativa che alla ricerca. La riforma Gelmini, invece, fu il frutto di una politica che vedeva nell’Università un centro di cultura antagonistico, da punire (tutti dovremmo ricordare il grido di dolore dei docenti di Diritto Costituzionale nei confronti delle leggi ad personam varate dai governi Berlusconi).

Il Movimento 5 Stelle, terzo gruppo politico del paese, è ambiguo sulla tematica dell’Università: vive in parte sulla propaganda antiscientifica di Beppe Grillo (chi ricorda “Cancronesi” e la polemica sulle mammografie?), e sembra perseguire una visione politica generica, nella quale scompare l’opposizione tra le esigenze dell’università di massa e dell’università di eccellenza.