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Attentato a Cristina Kirchner: il fascismo latinoamericano rialza la testa?

Per un puro fortunato caso, l’assassino che ha attentato alla vita di Cristina Kirchner non è riuscito nel suo intento, dato che la pistola che stava puntando da distanza ravvicinata alla testa della ex presidente e attualmente vicepresidente dell’Argentina ha fatto cilecca. Il terrorista si chiama Fernando Montiel, ha 35 anni e ha tatuato sul gomito un sole nero, emblema a suo tempo introdotto dal capo delle SS Himmler. Questo personaggio può ben considerarsi emblematico del sentimento di sconcerto e disperazione che attraversano il neofascismo e neonazismo latinoamericano nella fase attuale.

Abituati a fare il buono e cattivo tempo negli anni Settanta e parte degli Ottanta, ben insediati nei corpi militari degli Stati, autori di centinaia di migliaia di crimini in buona parte tuttora impuniti, giovandosi sempre e comunque della generosa copertura del Grande Fratello statunitense, i fascisti dell’America Latina vedono oggi il proprio potere andare in pezzi di fronte a un’ampia riscossa popolare che, in tutto il continente, vede in prima fila donne, indigeni, neri e lavoratori; ovvero coloro che appartengono ai settori della società che essi, in ossequio alla loro nauseabonda e stantia ideologia razzista, hanno sempre considerato inferiori.

Mentre in altre parti del mondo la furia omicida di questi criminali si dirige in genere verso gli appartenenti a questi settori, soprattutto se migranti, in America Latina la violenza della destra assume connotati più schiettamente politici, prendendo a bersaglio i leader sociali diffusi, come in Colombia e in Brasile – o, come in questo caso, i dirigenti politici e rappresentanti istituzionali nazionali, che come Cristina Kirchner hanno saputo, con tutti i loro limiti, incarnare una fase di emancipazione nazionale e anche per certi aspetti sociale.

È ben comprensibile che il disorientamento e il senso di irrimediabile sconfitta strategica, che animano oggi personaggi come Montiel e altri assassini o aspiranti tali, derivi anche dalla constatazione della crisi profonda del sistema statunitense di dominio continentale del quale essi sono stati per decenni i beneficiari e i sicari sul terreno. Su questo blog ho più volte narrato le cronache giudiziarie italiane che, grazie all’impegno di pubblici ministeri e avvocati, hanno consentito di ricostruire con scientifica esattezza la rete criminale denominata Operazione Condor, istituita da Henry Kissinger (vecchio protagonista della politica estera yankee del quale oggi apprezziamo alquanto paradossalmente la lucidità in relazione alla vicenda Ucraina) con la partecipazione di gran parte dei vertici politici e militari del Cono Sud dell’America Latina (ma discorso analogo può essere fatto per la Colombia e il Centroamerica).

Se lo scopo di tale rete criminale era contenere l’affermazione dei governi progressisti in America Latina e la conseguente emancipazione degli Stati latinoamericani dal secolare controllo statunitense, è oggi a tutti evidente come tale obiettivo sia palesemente fallito, sia pure a costo di centinaia di migliaia di vite umane. I fascisti latinoamericani hanno certamente contezza di ciò e, se guardano a Washington, constatano con inquietudine che il Grande Fratello è in crisi irreversibile sia sul piano internazionale (dove ormai solo l’Europa degli autolesionisti e forse solo Australia e Giappone continuano incondizionatamente a tenergli bordone), sia sul piano interno dove la spaccatura tra Trump e Biden delinea la possibilità di uno scontro esacerbato di lungo periodo, fino a un possibile revival della Guerra Civile che ebbe luogo nel Paese a metà circa del XIX secolo.

Eppure, per quanto sconcertati, i fascisti latinoamericani ci sono ancora e non c’è solo l’assassino mancato Montiel. Ci sono anche, sia pure in forme almeno per il momento non apertamente terroristiche, i vari Bolsonaro, che non rassegnandosi all’imminente e molto probabile sconfitta elettorale in Brasile lascia intendere che non è disposto a riconoscere il verdetto democratico delle urne. O anche le destre cilene sbaragliate da Gabriel Boric a novembre, che incitano a respingere la nuova Costituzione che era finalmente destinata a superare l’infausta parentesi pinochettista. O ancora le famigerate destre paramilitari colombiane da sempre impegnate nel narcotraffico e nella destabilizzazione del Paese fratello che è il Venezuela bolivariano.

Guai a sottovalutare il pericolo che questi ed altri continuano a costituire per l’America Latina, i suoi popoli e i suoi governi progressisti. Pur nella sacrosanta pluralità delle ispirazioni e nella diversità degli accenti, occorre che il problema sia preso in seria considerazione, affrontato e risolto mediante un’ampia cooperazione regionale e una totale rifondazione dei corpi militari e degli apparati che, per garantire la sicurezza cui sono intitolati, devono essere ripensati a fondo. Così come vanno radicalizzate le scelte sociali per dare finalmente ai popoli dell’America Latina quelle società egualitarie e solidali, quegli Stati indipendenti e sovrani cui hanno diritto e che attendono da molto tempo.