Un’occasione, non sfruttata a pieno, per arrivare uniti alla Cop 27 sul clima di Sharm el-Sheikh. L’Africa Climate Week 2022 di Libreville, in Gabon, ha riunito più di 3.200 partecipanti, tra attivisti, imprenditori, esperti, rappresentanti di comunità locali, e delegati da 60 Paesi del continente. L’obiettivo era quello di sviluppare strategie comuni per arginare gli effetti disastrosi della crisi climatica e favorire la transizione ecologica. In particolare, attraverso la collaborazione tra la finanza e la società civile. Il forum è riuscito a sottolineare, ancora una volta, il tema dell’ingiustizia climatica. Sebbene sia responsabile solo del 4% delle emissioni globali, l’Africa è tra le regioni più colpite da fenomeni estremi, come cicloni, inondazioni e desertificazione. Sul fronte delle posizioni condivise – da difendere davanti agli altri Paesi alla Conferenza sul clima delle Nazioni Unite – rimane ancora da lavorare. Ci sono ancora diverse divisioni sullo sfruttamento dei combustibili fossili e la tutela delle aree protette. Influiscono però anche le “promesse tradite” dell’Occidente.
Due dei nodi principali della conferenza africana sono stati le risorse per la transizione e il diritto di “continuare a inquinare” per sostenere l’economia regionale. “L’Africa è obbligata, con i suoi mezzi finanziari e uno scarso livello di sostegno” da parte del Nord del mondo, “a spendere ogni anno circa il 2-3% del proprio Pil per adattarsi a questa crisi” ha affermato, nel discorso di apertura della Acw, Sameh Shoukry, ministro degli Esteri egiziano e delegato per la Cop 27. Per Shoukry le promesse dell’Occidente non bastano. Secondo il rapporto Africa Economic Outlook 2022 i 25 miliardi di dollari, stanziati dalla Banca africana di sviluppo per la transizione ecologica e progetti di resilienza per il clima, non saranno sufficienti. Tra il 2020 e il 2030 serviranno almeno 1.600 miliardi di finanziamenti, per rispettare gli Accordi di Parigi. Questi fondi idealmente dovrebbero limitare anche le disparità economiche, create dalla necessità di decarbonizzazione.
Già nel 2021 il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres aveva dichiarato che la transizione energetica in Africa avrebbe richiesto delle misure pragmatiche per preservare la competitività del continente. Infatti i piani di industrializzazione della regione sono fortemente legati ai combustibili fossili. La percentuale di infrastrutture per le fonti rinnovabili è irrisoria: solo il 2% di quelle installate in tutto il mondo, secondo uno studio commissionato da RES4Africa Foundation in collaborazione con Enel Green Power. Per sostenere la domanda energetica per lo sviluppo delle industrie locali – stima l’Agenzia Internazionale per l’Energia – sono necessari circa 90 miliardi di metri cubi di gas, da qui al 2030.
Il tema era già emerso alla Cop 26 di Glasgow, con l’appello del vicepresidente nigeriano Yemi Osin Bajo e ritornerà anche a Sharm el-Sheikh. Secondo un documento tecnico – letto in anteprima dal Guardian – l’Unione Africana intende fare pressioni per ottenere il diritto di aumentare le esplorazioni di petrolio e gas nel continente. La presunta decisione ha già provocato le proteste di numerosi esperti e ambientalisti locali, preoccupati per le conseguenze della decisione sul clima. I cambiamenti climatici rischiano di esporre circa 118 milioni di africani a gravi siccità, inondazioni massicce e caldo estremo entro il 2030. Allo stesso tempo però l’impennata del prezzo del gas, causata dalla pandemia di Covid e dalla guerra in Ucraina, ha spinto molti governi europei – tra i quali quello italiano – a chiedere maggiori estrazioni ed esportazioni agli Stati africani.
Pochi esempi positivi, come quello del Gabon, che ha la conferenza, non bastano. Il Paese, nel suo secondo “Contributo Nazionale Determinato” – un documento sugli impegni climatici – si è impegnato ad azzerare le emissioni nette entro il 2050, proteggendo il proprio patrimonio forestale. L’88% della sua superficie è coperto da boschi. Grazie al Central african forest initiative – un programma di riforestazione promosso dall’Onu – è riuscito a ottenere 17 milioni di dollari. Lo sfruttamento del legname e la tutela delle aree naturali però è un altro tema divisivo per la regione africana. La Repubblica Democratica del Congo aderisce alla stessa iniziativa. A fine luglio però – secondo un’analisi del quotidiano online African Arguments – Kinshasa ha messo all’asta i diritti di sfruttamento del gas e petrolio in trenta lotti. Molti di questi, nonostante le rassicurazioni delle autorità, si trovano in aree protette della foresta pluviale. In particolare, minacciano ecosistemi delicati come quelli delle torbiere, che catturano nel sottosuolo grandi quantità di anidride carbonica. Diversi acquirenti dei lotti potrebbero essere aziende del Nord del Mondo.
Un allineamento nelle intenzioni sul clima quindi non è sufficiente per sostenere la transizione ecologica africana. Alla Cop 27 di Sharm el-Sheikh sarà necessario affrontare anche i nodi dello sviluppo economico e le responsabilità dell’Occidente. “Non è realistico avere un’azione per il clima senza considerare l’intero contesto dell’agenda per lo sviluppo sostenibile, la povertà, la fame, l’occupazione e l’emancipazione delle donne – hanno affermato il vice presidente della World Bank per l’Agenda di sviluppo Mahmoud Mohieldin e l’esperto di finanza climatica Nigel Topping, a conclusione della Acw 2022 – La mobilitazione dei finanziamenti per il clima in Africa è fondamentale per creare un vero progresso”. Gli impegni per il clima vanno accelerati. Altrimenti, secondo il giovane attivista, Omnia El Omrani, lasceremo “che questa generazione sia l’ultima ad affrontare la crisi climatica”.