di Roberta Ravello
L’allontanamento femminile dal conservatorismo è strutturale e porta le donne alla sinistra progressista. Questo succede perché la sinistra, che un tempo difendeva gli uomini operai, è colonizzata da lavoratrici che combattono per le stesse posizioni lavorative. L’economia contemporanea grazie alla tecnologia è sempre più affrancata dai lavori industriali pesanti e non pone vincoli al sesso dei dipendenti, mentre il lavoro impiegatizio non richiede forza fisica ma cultura, in un paese dove ci sono più laureate che laureati. Quanto più le sinistre si spostano dalle questioni del lavoro in senso industriale verso i diritti civili, l’ambientalismo, il femminismo e i diritti di “genere”, tanto più le donne convolano a sinistra.
L’altro lato di questo quadro è il relativo declino simultaneo per le prospettive degli uomini. I dati pubblici mostrano che negli ultimi 40 anni si è assistito a un aumento dell’occupazione femminile e a un calo dell’occupazione maschile. Benché ancora ci sia un divario di genere, specialmente nelle posizioni apicali, è chiaro che in un mondo dove i posti di lavoro non sono infiniti, se un mestiere è occupato da una donna, non è occupato da un uomo. Gli uomini dominano ancora le professioni più pagate, dando alle donne più colte i motivi di battaglia sui “divari retributivi di genere” e sulla scarsità di Ceo o di leader politiche donne. Ma se guardiamo alla base della catena del lavoro, le donne, tanti meno figli fanno, tanto più sono competitive e desiderabili come forza lavoro.
L’impatto di questo cambiamento nell’equilibrio tra i sessi richiede tempo perché sia pacifico. Si parla di “crisi della mascolinità” e aumento dei femminicidi, come se le donne fossero il nemico pubblico numero uno dell’uomo tradizionalista. Il femminismo è visto in alcuni ambienti come una cospirazione maligna, invece che come un effetto del progresso che non si può fermare. Ha poco senso incolpare le donne come sesso per i cambiamenti materiali strutturali che hanno svantaggiato gli uomini della classe operaia, però succede. Potremmo quindi assistere a un contraccolpo maschile conservatore: uomini poco istruiti, coloro per i quali l’economia moderna non offre grossi vantaggi, potrebbero propendere sempre più, anziché per i partiti storici degli operai, per una destra reazionaria che rimetta le donne al loro posto, vietando l’aborto, riportando le donne a essere principalmente mogli e madri e ad accedere solo a quei lavori di cura convenzionalmente femminili.
Le destre conservatrici e populiste sono oggi il partito degli uomini bianchi e cristiani, poco istruiti, che odiano le donne emancipate e gli immigrati, coloro che mettono più a rischio i posti di lavoro per i primi. Le sinistre progressiste rappresentano invece sempre di più gli interessi di immigrati, donne lavoratrici, “generi emergenti” e intellettuali benestanti ma socialmente impegnati. Una prospettiva che, nel tempo, potrebbe ridisegnare l’asse destre e sinistre anche in base al sesso. E’ vero, spesso le destre europee hanno donne a guidarle, ma sono “cavalle di Troia” per ripristinare i diritti degli uomini, anziché rappresentare i diritti emancipatori delle donne.
Dopo la Lega, con l’elevazione della legge ungherese sulla famiglia a modello per l’Italia, professata da Matteo Salvini, anche Fratelli d’Italia, attraverso Eugenia Roccella, ha svelato la posizione del partito in materia di famiglia e di aborto definendolo non un diritto, ma il “lato oscuro della maternità” che, secondo la candidata, sarebbe un elemento forte della cittadinanza delle donne. Tutt’altro, l’affrancamento della donna dalla maternità imposta dal patriarcato e la costruzione di una genitorialità se scelta condivisa è la battaglia fondamentale per l’emancipazione femminile. Non stupiamoci dunque se questi temi sono così cavalcati in questa tornata elettorale e possono portare a una dimensione del voto in cui il sesso determinerà le preferenze.