Nei ministeri c’è un “tesoretto” congelato da 7,8 miliardi di euro. Sono i fondi stanziati da quasi 400 norme ormai “invecchiate” ma paradossalmente mai entrate in vigore: entro il 2024 saliranno a quota 15,4 miliardi, l’equivalente di una finanziaria o del fabbisogno per tamponare il rincaro delle bollette. Lo stesso Mario Draghi ha sferzato capi di gabinetto e ministri ad accelerare sulle leggi obiettivo del Pnrr e sullo stock di provvedimenti arretrati da adottare. Il Fatto li ha passati in rassegna tutti quanti, scoprendo non solo il costo impressionante dei ritardi, ma che l’inerzia blocca anche le contromisure a sfide epocali come il Covid, la crisi energetica e il lavoro, lasciate scadere come yogurt. Il risultato è un documento che non si era mai visto: un elenco di 393 misure monche, riforme al palo e fondi mai erogati che riempie la bellezza di 35 pagine (scarica) nelle quali si riflette l’immagine di un Paese paralizzato. Esempi? Sono scaduti i decreti sulla “Strategia nazionale contro la povertà energetica”, idem quello sulla riduzione dell’illuminazione pubblica. Il ministero di Cingolani guida la “classifica dei ritardatari” con 72 norme inattuate, 30 delle quali ormai scadute.
E’ al palo la norma che destinava 250 milioni di indennizzi ai “danneggiati dai vaccini”, idem per i sostegni ai familiari dei medici morti che valevano 10 milioni. Nel girone delle incompiute c’è mezzo reddito di cittadinanza, compresa la parte sulle “verifiche dei requisiti patrimoniali dei percettori” che fa dire ai detrattori che è un regalo per furbetti e truffatori. Scaduto il decreto per il “sostegno della parità salariale di genere sui luoghi di lavoro”, che sarebbe poi uno degli obiettivi del Pnrr. Manco il decreto per omologare gli autovelox è arrivato per tempo. Di è chi è la colpa?
Nei giorni scorsi Draghi ha rivendicato d’aver abbattuto l’arretrato dei predecessori attuando 1200 decreti. Ma organizzando i dati per governo proponente (qui il report riordinato) si scopre che i primi della classe non dovrebbero fare lezione: al 2 settembre l’eredità del Conte I e II era pari a 129 decreti mancanti, il governo Draghi deve attuarne anche 270 di propri, ma 97 sono ormai “scaduti”. Alcuni, per altro, spettavano proprio alla Presidenza del Consiglio, ragion per cui neppure il premier è esentato dal rincorrere i propri ritardi e fare ammenda delle occasioni perse. Da qui partiamo per una ampia, ma non esaustiva, rassegna degli orrori.
ANCHE DRAGHI IN RITARDO – Preso dal “disbrigo degli affari correnti” Mario Draghi ha sferzato i ministri sui ritardi nell’attuazione delle leggi di loro competenza. Ma a ben vedere nell’elenco dei decreti mai attuati ci sono 18 misure proposte della stessa Presidenza del Consiglio rimaste in standby, cinque delle quali avevano una scadenza e sono scadute. Mica robetta. L’11 settembre 2021 il Consiglio dei Ministri vara un decreto con “disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale”. Il decreto prevedeva un fondo da 4,6 miliardi da ripartire dal 2022 al 2033. Ma i primi 100 milioni di euro sono rimasti impigliati, e dove? A un decreto coi criteri di riparto che spettava a Palazzo Chigi ma è scaduto il 31 marzo scorso. In quella data, bene o male che sia, è scaduto anche il termine entro il quale il Dipartimento per l’Editoria, che sta sotto la Presidenza, avrebbe dovuto indicare la ripartizione di 90 milioni di fondi all’editoria.
Sempre Chigi avrebbe dovuto definire entro il 3 dicembre 2021 le procedure per la stipula dei contratti dell’Agenzia per la sicurezza nazionale “in raccordo con il sistema di formazione per la sicurezza della Repubblica”. Lo prevedeva la legge 109 del 2021 proposta proprio dalla Presidenza, che non ha mai adottato il relativo decreto. Anche sul fronte “diritti e pari opportunità” Draghi arriva tardi. Il 5 novembre 2021 firma un decreto che promette di colmare il divario tra uomini e donne in ambito lavorativo nel settore pubblico, dando così finalmente corso alla legge fondamentale in materia che compiva dieci anni (la n.120 del 12 luglio 2011). Ebbene l’1 febbraio scorso sono scaduti i termini entro i quali la stessa Pcdm avrebbe dovuto modificare i relativi regolamenti, un nulla di fatto. Neppure sulla partita del Pnrr mancano i ritardi imputabili a Draghi. Il 30 aprile il consiglio dei ministri licenzia la legge n.36 che prevede “ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”. L’articolo 44 riguarda l’istruzione e in particolare i criteri di “formazione iniziale e continua dei docenti delle scuole secondarie”. Disciplina percorsi, crediti abilitanti e così via ma la stessa Presidenza doveva poi emanare “entro il 31 luglio 2022” il relativo decreto con gli standard di competenze e le modalità di svolgimento delle prove finali del percorso di formazione dei docenti. Non è arrivato.