Una, cento, nessuna Transizione Ecologica. Il ministro Cingolani detiene il record dei ritardi nell’attuazione delle leggi con 72 decreti inattuati, metà dei quali ormai scaduti. Solo per dar corso alla n.34/2022, che disponeva “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas”), ne mancano 15, compreso quello che prevedeva l’adozione di una “Strategia nazionale contro la povertà energetica”: a marzo veniva indicata come la risposta strutturale al quadro fosco che agita l’Europa, il Mite doveva emanarlo “entro 90 giorni” ma è scaduto il 7 luglio scorso, insieme a tanti altri provvedimenti che hanno richiesto fior di consigli dei ministri, riunioni di capi gabinetto, elaborazione degli uffici legislativi e così via. Il FattoQuotidiano.it ha realizzato un censimento di tutte le norme inattuate che riempire 35 pagine (scarica il file): organizzandolo per ministeri, si scopre che quello che fa capo a Roberto Cingolani si aggiudica il podio nella classifica dei ritardatari, seguito dal ministero delle Infrastrutture di Enrico Giovannini (53), da Daniele Franco per Economia e Finanze (52), Roberto Speranza col dicastero Salute (30), poi Sviluppo Economico (28), Lavoro e politiche sociali (23). Il censimento ha documentato che 7,8 miliardi di euro di risorse finanziate sono bloccate da 393 decreti mai emanati, cento dei quali scaduti per sempre. E pazienza se li chiamavano “i migliori”. Ecco una selezione delle norme mai attuate.

TRANSIZIONE FERMA – Sui giornali campeggiano annunci di una imminente “stretta sull’illuminazione” di strade ed edifici pubblici. Ma i sindaci d’Italia procedono in ordine sparso perché hanno atteso dal ministero il decreto con gli “standard tecnici e delle misure di moderazione dell’uso di dispositivi di illuminazione pubblica”, che è scaduto il 28 luglio scorso. Così come altre 30 misure mai attuate nei termini previsti dai decreti principali. Succede, ad esempio, con il “Fondo per la decarbonizzazione e per la riconversione verde delle raffinerie”. A volte son proprio soldoni: c’è l’autotrasporto alla canna del gas, ma il settore ancora attende di sapere i “criteri e modalità per il rilascio di un contributo, sotto forma di credito d’imposta nella misura pari al 20 per cento delle spese sostenute per l’acquisto di gas naturale liquefatto utilizzato per la trazione dei mezzi di trasporto di merci su strada”. Non li avranno, perché il decreto attuativo è rimasto negli uffici oltre il termine del 5 maggio in cui la misura scadeva. Al palo anche le “prescrizioni per la posa in opera degli impianti di produzione di calore da risorsa geotermica destinati al riscaldamento di edifici e alla produzione di energia elettrica”. E pure il Piano Nazionale per la riconversione di impianti serricoli in “siti agroenergetici” e forme e modalità di raccordo con il PNRR. Inattuata anche quella che semplificava l’installazione di impianti fotovoltaici fluttuanti. Il legislatore ci aveva visto giusto: essendo l’Italia circondata dall’acqua poteva sfruttare questa caratteristica incentivando la realizzazione di impianti da solari fotovoltaici (di potenza fino a 10 MW) negli specchi d’acqua marini, nei bacini idrici, perfino nelle cave dismesse. Poteva.

Sulle rinnovabili ben 15 misure sono al palo, quasi tutte scadute tra marzo e giugno: dai fondi per promuoverle alla piattaforma unica digitale per gli impianti, dalle procedure per la costruzione alla disciplina delle aree idonee e fino agli incentivi tariffari per gli impianti elettrici di piccola taglia e di gas naturale che contribuiscano alla rete. L’inerzia del legislatore può costar cara: sempre nella legge 34/2022, largamente inattuata, il governo dava mandato al gestore nazionale Gse di opzionare sul mercato 17 terawattora, un quarto del fabbisogno dell’industria nazionale, da fonti rinnovabili. Il gestore riesce ad accaparrarselo a un prezzo conveniente ma, ora che servirebbe come l’ossigeno, non lo impiega: manca i decreto di secondo livello che indica le modalità di erogazione.

ALLA SALUTE – Gli indici di contagio e mortalità non calano, la crisi sanitaria legata al Covid resta l’altra grande emergenza. Ma all’appello del ministro Speranza mancano 30 decreti attuativi, molti dei quali riferiti proprio al virus e ai suoi effetti su cittadini e sanitari. Con la legge n.25/2022 il governo ha impegnato 250 milioni di euro per indennizzare i danneggiati dalla somministrazione di vaccini per gli anni 2022-2024. I soldi andrebbero trasferiti alle Regioni ma manca il decreto di ripartizione previsto all’art. 20 comma 1bis, coi criteri e le modalità di monitoraggio delle richieste.
Stesso discorso per i fondi per il potenziamento della medicina territoriale: da due anni e mezzo si sente il mantra per cui sarebbe l’antidoto agli effetti della pandemia. Per rafforzarla la legge di Bilancio firmata Draghi a dicembre ha autorizzato la spesa di 90 milioni per il 2022, 150 per l’anno dopo, 328 per il 2024 e un miliardo a partire dal 2026. Un sacco di soldi insomma, a valere sul Pnrr. Ebbene l’articolo 274 della prevedeva che il ministero della Salute, di concerto col Mef, emanasse “entro il 30 aprile 2022” un apposito decreto che avrebbe dovuto indicare standard organizzativi, quantitativi e tecnologici omogenei nonché un decreto per la ripartizione tra regioni. Che non è mai stato adottato. Così come la “metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio Sanitario nazionale”.

Il Covid ha portato alla luce anche i costi di una sanità impreparata all’emergenza. Il governo ha provato a fissare dei paletti con la definizione di tariffe massime per la remunerazione sia delle prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti in regime di ricovero che per le cure palliative. Entrambe le misure sono scadute il 30 giugno scorso. Nel Milleproroghe di due anni fa il governo Conte II aveva inserito un credito di imposta per chi stabilizza ricercatori e clinici. Il ministero, di concerto col Mef, doveva indicare i criteri di concessione/fruizione del beneficio per 5 milioni nel 2020, e 10 per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023. Ma il relativo decreto manca ancora all’appello. Entro il 23 settembre il ministero dovrebbe emanare quello che destina 11 milioni di euro alla ricerca biomedica previsti dalla legge 106 del 2021. Ed è corsa contro il tempo.

TUTTI AL LAVORO – Il ministro Orlando è sotto di 23 decreti, di tutti i tipi. Nel 2019 viene varato il reddito di cittadinanza. La legge 26 prevedeva che i beneficiari stilassero un “patto per il lavoro” coi centri per l’impiego nel quale i beneficiari si impegnano ad accettare due “offerte congrue”. Servivano però “indirizzi e modelli nazionali per la redazione del Patto” che la legge, all’articolo 4 comma 7, demandava al ministero di individuare, ma ad oggi, e cioè tre anni dopo, non è stato adottato, cosicché ogni regione e ogni centro ne adotta di propri. Non solo.
Tra pochi giorni, il 19 settembre per l’esattezza, scadono i termini della legge la legge di Bilancio che ha ridisegnato e completato alcuni profili della norma: all’art. 34 bis comma 1 prevedeva la definizione delle “modalità di comunicazione e di verifica della mancata accettazione dell’offerta congrua proposta dai datori di lavoro privati al lavoratore beneficiario del Reddito di cittadinanza”. La finanziaria aveva anche indicato strumenti contro i “furbetti”, come l’approvazione di un “Piano di verifica dei requisiti patrimoniali dichiarati nella dichiarazione sostitutiva unica anche ai fini della verifica dei requisiti per il RdC” (L. 234/2021, art. 1, comma 74 a). Non è stato mai adottato. Poi c’è chi si scaglia contro la misura, senza considerare che molte sue parti sono rimaste inattuate, e non certo per colpa dei beneficiari.
Coi fondi del Pnrr ci si attende un boom di mestieri legati alla transizione ecologica e digitale sui quali orientare i giovani disoccupati, come da Programma Garanzia di Occupabilità (GOL) dello stesso Piano resilienza. Parte la fanfara della formazione, il comma 249 della legge 234/2021, prevedeva che il ministero selezionasse i progetti formativi e di inserimento, è rimasto sulla carta. E ancora. Per contrastare il fenomeno dei “neet”, cioè i giovani che studiano e non lavorano, ad aprile del 2021 Orlando annuncia l’arrivo delle “Scuole dei mestieri” in grado di formare “figure professionali richieste dalle imprese” nei “settori di specializzazione industriale del territorio”.
Il decreto Sostegni stanzia 20 milioni di euro. Entro due mesi doveva arrivare anche il decreto sulle “modalità di applicazione e utilizzo delle risorse”, ma è scaduto il 25 luglio. Il tema delle pari opportunità aleggia anche in una campagna elettorale, con lo scandalo delle candidate in posizioni perlopiù ineleggibili. La politica non fa grandi passi avanti. Ma neppure il mondo del lavoro. Nella legge di bilancio 2020 spunta finalmente un articolo che dispone “interventi al sostegno della parità salariale di genere e pari opportunità sui luoghi di lavoro”. La dote era modesta, due milioni di euro, ma il significato era potente. Peccato che il comma 277 che doveva dargli attuazione non sia mai arrivato. Idem per il comma 660 che dove introdurre il “bollino della parità” nelle imprese.

MEF IN RITARDO – Uno dei paradossi rivelati dall’elenco delle norme inattuate è che i fondi stanno al Mef, ma il ministero dell’Economia e Finanze è oberato da 52 norme inattuate. Pescando di fiore in fiore, si ritrova inattuata la norma del Conte II che destinava 350 milioni ai comuni per la digitalizzazione dei servizi e il potenziamento del lavoro agile: era stata inserita nella legge di bilancio 178/2020, ma l’articolo 1 comma 853 che prevedeva i criteri di riparto è scaduto il 31 maggio scorso. Al palo è anche il decreto che doveva ripartire 52 milioni di euro a copertura degli aumenti e delle ore di straordinario promessi a Forze di polizia e Forze armate con legge di bilancio 2021 (art. 1 comma 605). Al Mef spettava di indicare il criterio di riparto, che ancora manca.
In materia di evasione fiscale non ha mai vito la luce il decreto che la indicava come causa di “esclusione delle imprese dalla partecipazione degli appalti”: previsto come obbligo dall’Europa, era stato inserito nell’articolo10 comma 1 della legge 238/2021, ma il relativo decreto è scaduto il 2 aprile scorso.
Stesso destino per la norma che, con 2 milioni di euro, doveva sollevare i comuni alle prese con banche e mutui da ristrutturare: è scaduta il 30 marzo 2020. Resta inattuata da tre anni quella varata dal Conte II, legge 157/2019 art. 58 bis, comma 2, per aiutare la capitalizzazione del Pmi che, sulla carta, valeva 12 milioni di euro. I comuni terremotati del resto ancora aspettano il rimborso del minor gettito della tassa di occupazione del suolo pubblica demaniale e della imposte di pubblicità: era previsto un fondo da 4 milioni, ma tre anni non sono bastati per fare il decreto di attribuzione. E la misura è scaduta il 31 maggio dell’anno scorso.

GLI INSOSTENIBILI – Il ministero delle infrastrutture conta 53 decreti inattuati. Tra gli scaduti spiccano tre provvedimenti sulla “mobilità sostenibile” che totalizzano 110 milioni di fondi mai erogati. Sono rimasti congelati anche 50milioni di euro del “Fondo per lo sviluppo delle reti ciclabili urbane” istituito con la legge 160 del 2019. Il decreto che doveva indicare le modalità di erogazione è scaduto a marzo del 2020. La finanziaria 2019 ne destinava 40 all’ammodernamento del parco auto della Finanza, ma il comma 467 che prevedeva l’approvazione del programma ma non hai mai visto la luce ed è scaduto il 30 giugno scorso. Lo stesso è successo ai Carabinieri, col fondo da 20 milioni.

Tra le emergenze ora c’è il “caro-benzina”, ma il primo maggio è scaduto il decreto che doveva attribuire 25 milioni di contributo alle imprese come credito d’imposta pari al 20% delle spese sostenute per l’acquisto di gas naturale liquefatto da utilizzare per il trasporto su strada. Insieme è scaduto anche quello da 54 milioni destinavi al credito del 15% per l’acquisto degli additivi per il diesel. Per compensare le minori entrate delle imprese di trasporto con autobus durante la pandemia il governo Draghi aveva individuato un fondo specifico da 20 milioni, ma l’art. 24 della legge 25/2022 che doveva destinarle non ha mai visto la luce ed è scaduto il 2 febbraio scorso. Si sa che gli autovelox sono la croce degli automobilisti e la delizia dei comuni in rosso: nel 2020 spunta una norma che promette di chiarire una volta per tutte le questioni di omologazione dei dispositivi che hanno alimentato i ricorsi e inceppato la macchinetta dei soldi facili: il regolamento è in un cassetto da due anni.

IN-GIUSTIZIA – Sono “solo” nove i decreti attuativi che mancano al dicastero di Grazia e Giustizia. Tra quelli ormai scaduti spiccano 3,6 milioni di aiuti per i liberi professionisti del settore colpiti dalla pandemia. Erano previsti dalla legge 51/2022, ma l’art. 12 bis comma 2 che doveva definire le “modalità di adozione degli adempimenti” non ha più visto la luce ed è scaduto il 17 luglio scorso. Si attende da tre anni un decreto che consenta il deposito degli atti e dei provvedimenti relativi alle intercettazioni in forma “solo tematica”. Lo prevedeva la legge 161/2019 demandando al ministero un decreto che indicasse modalità e termini dell’innovazione, ma è fermo in un cassetto. Da sempre le pubbliche amministrazioni che assumono e promuovono devono demandare alle “autocertificazioni” la mancanza di pendenze penali del candidato. Finalmente la legge 122 del 2018 apre un varco consentendo loro di consultare i certificati del casellario giudiziale, ma l’art. 4 prevedeva un successivo decreto per indicare in che modo: mai pervenuto. La legge 36/2022 prevedeva la costituzione di un Comitato tecnico-scientifico per il “monitoraggio sull’efficienza della giustizia civile, sulla ragionevole durata del processo e sulla statistica giudiziaria”. Un tentativo di misurare l’efficienza del sistema giustizia sottraendolo alle claque della politica: costava solo 11mila euro per gettoni e quant’altro, niente, ma il relativo decreto (previsto dall’art.41 comma 1) non ha ancora visto la luce.

VISTI DALL’INTERNO – Sono 23 i decreti inattuati dal Viminale. In campagna elettorale irrompe il solito tema della sicurezza delle città, ma nessuno si è accorto che il 30 giugno scorso è scaduto il decreto che doveva attribuire un fondo da 300 milioni di euro ai comuni che per investire in progetti di “rigenerazione urbana volti alla riduzione dei fenomeni di marginalizzazione e di degrado sociale” previsti dalla legge 234 del 2021. Del resto si attende dal 2018 il decreto che, attuando la legge 132, consenta ai vigili dei grandi comuni, sopra i 100mila abitanti, l’accesso al Centro elaborazione dati interforze. Pescando di fiore in fiore dal censimento degli inattuati si incappa in un fondo da 10milioni di euro a sostegno dei proprietari di immobili occupati dagli abusivi cui la politica strizza sempre un occhio: il due marzo è scaduto il decreto di attribuzione, senza che nessuno battesse ciglio. Anche il tema della proliferazione delle armi è al palo. Nel 2018 il governo Conte istituisce un sistema informatico per il “controllo della circolazione di armi e munizioni”, da quattro anni si attende il decreto (previsto all’articolo 11 comma 6) che deve indicare come funzioni, e gli 800mila euro accantonati per farlo son fermi lì mentre le armi viaggiano. La criminalità è sempre più “transnazionale” e digitale. Una direttiva europea nel 2019 ha richiamato i paesi a dotarsi di strumenti di cooperazione contro le frodi e le falsificazioni internazionali. L’Italia l’ha recepita con decreto l’8 novembre 2021 (legge 184), ma il ministero non ha mai dato corso all’art. 5 comma 3 che indicava il “contingente di personale delle Forze di polizia da impiegare per lo scambio di informazioni con le autorità degli altri Stati membri”.

PNRR – Il timore del grande ritardo serpeggia da mesi negli uffici di Palazzo Chigi. Ora che il governo si avvicina alla scadenza, pur con la sola briga degli “affari correnti”, la distanza dell’Italia dagli obiettivi del Pnrr si fa certezza, allarme, tanto che Mario Draghi in persona ha sferzato i ministri perché si mettano di buona lena e facciano l’ultimo sprint, con l’obiettivo di mettere in sicurezza la seconda tranche di fondi europei: entro dicembre ci sono 55 obiettivi-target da centrare e ne sono stati realizzati 9. In pratica manca all’appello quasi l’80% dell’agenda di impegni, e il sottosegretario Garofoli ha stilato una road map per ciascun ministero con l’obiettivo di portare a casa undici obiettivi a settembre (anziché tre) e nove entro ottobre (quando non erano contemplate scadenze). Quanto ai mesi di novembre e dicembre si dovranno centrare i 26 traguardi in scadenza, per un totale di 55, che saranno poi verificati con la Commissione europea per il via libera all’erogazione dei fondi. Ancora una volta il faro cade sui decreti da attuare che sono stati indicati in 243, 120 da adottare entro settembre e 123 entro ottobre. Dentro, al solito, c’è di tutto. Tra gli otto obiettivi da anticipare ci sono: il sistema di certificazione della parità di genere e i relativi meccanismi di incentivazione per le imprese, l’entrata in vigore della legge sulla concorrenza 2021, con l’adozione di un provvedimento legislativo d’urgenza. C’è il piano di rafforzamento 2021-23 dei centri per l’impiego, il decreto ministeriale di adozione del piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso. A ottobre dovranno essere pronti gli atti delegati per la riforma del processo civile e penale e l’aggiudicazione dell’appalto per la ferrovia ad alta velocità sulle linee Napoli-Bari e Palermo-Catania.

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