Il coming out di Emanuele Crialese è diventato uno dei temi più chiacchierati al Lido. Ben più del suo ultimo per nulla irresistibile film L’Immensità
Emanuele quarant’anni fa era Emanuela. Il coming out di Emanuele Crialese è diventato uno dei temi più chiacchierati al Lido. Ben più del suo ultimo per nulla irresistibile film L’Immensità. “Per cambiare la A con la E del mio nome, ho dovuto lasciare un pezzo del mio corpo, il pegno che mi ha chiesto la società, sennò non avrei potuto cambiare nei documenti. Ho fatto cinema nella speranza di raccontare un giorno questa storia”, ha spiegato al Corriere, il regista italiano che concorre, appunto, per il Leone d’Oro. “È il film che inseguo da sempre, il più desiderato. Ora sono pronto. Se l’avessi fatto prima sarebbe stato palloso e didascalico, un poveraccio che usa la crisi di genere”, ha affermato. “Ho aspettato per avere consapevolezza di me e del linguaggio cinematografico. Si può raccontare una storia quando si è capaci di esprimersi. Una rinascita. Ero pronto a rinascere con questa storia”.
Nel film i prodromi di una transizione poi avvenuta da femmina a maschio, Crialese li racconta attraverso i primi piani corrucciati e frementi della ragazzina Adriana che si vuol far chiamare Andrea. In un Roma in trasformazione dei primi anni settanta, sua mamma (Penelope Cruz) finisce cornificata dal babbo assente e violento (Vincenzo Amato), e poi a farsi “curare” in una clinica, mentre la sorellina subisce l’agitazione familiare non mangiando più e il fratellino mangiando a dismisura. “Voglio dire una cosa politica: questo Paese sta cambiando, siamo impauriti, tutto si può fare tranne avere coraggio – ha concluso. “La donna è la parte migliore dell’uomo che sono, è quella dentro di me, è l’oggetto dei miei desideri, è lei che ascolto più volentieri. La donna è un campo di battaglia, dà la vita, allatta, rinuncia, si sacrifica, ha lottato per emanciparsi. Descrivere un uomo sarebbe noioso”.