The Banshees of Inisherin (titolo italiano, Gli spiriti dell’isola) di Martin McDonagh è una perla assoluta in concorso a Venezia 79
La perfezione è difficile da commentare a parole, si rischia di deturparla. Specie per chi ancora non ha potuto apprezzarla. A incarnarla è il film The Banshees of Inisherin (titolo italiano, Gli spiriti dell’isola) di Martin McDonagh, perla assoluta in concorso a Venezia 79 e – ad oggi, e secondo chi scrive – il più accreditato candidato al Leone d’oro.
Pensato inizialmente per diventare il terzo segmento della trilogia teatrale delle Isole Aran, è invece divenuto un’opera cinematografica immaginifica, esemplare e altamente metaforica, ambientata nel 1923 su Inishmore, una delle Aran (arcipelago dell’Irlanda occidentale), paesaggio sublime e profondamente carico di leggende e simbologie. Al suo quarto lungometraggio di cui si ricorda il premiatissimo Tre manifesti a Ebbing, Missouri il drammaturgo e cineasta londinese di origini irlandesi riunisce dopo 14 anni i due attori del suo lungo d’esordio In Bruges, e regala loro due personaggi destinati ad elevarsi a sintesi comportamentale dell’umana specie: Colin Farrell nei panni di Pádraic Súilleabháin e Brendan Gleeson in quelli di Colm Doherty. Due migliori amici, inseparabili compagni di bevute all’unico pub del villaggio, che improvvisamente mutano in acerrimi nemici. Senza un vero motivo se non quello che Pádraic diviene ostile e indesiderabile a Colm, che dunque non desidera più averlo attorno come amico: “Non c’è più posto per la noia nella mia vita“. “Volevamo tornare a lavorare insieme, e Martin ha scritto questo film per noi, non gli saremo mai grati abbastanza” suggella Gleeson a cui Colin Farrell aggiunge la “commozione psicologica e il vigore fisico di questi ruoli toccanti, universali, preparati con Martin in oltre tre anni e parecchie prove”.
La drammaturgia epica di The Banshees of Inisherin si accompagna a un crescendo di rivelazioni narrative strepitoso, ove i “personaggi-creature” di questo luogo magico e insieme maledetto assumono sul proprio corpo lo Zeitgeist di quel frangente spazio/temporale, in cui la guerra civile irlandese è uno sfondo solo apparente. Sono loro, fragili, goffi e orgogliosi, la metafora somatica dell’odiosa guerra civile irlandese ma – amplificandosi – di ogni guerra civile, che scoppia spesso così, tra fratelli, amici, concittandini, per un’idiozia pretestuosa. Ma non solo. Anche il territorio di “isola nell’isola” così impervio, selvaggio e Romantico nel senso filosofico del termine, assume il ruolo di vuoto esistenziale, di isolamento atavico che incide sugli umori, istilla i semi del malessere depressivo, e che inevitabilmente genera mostri e fantasmi. Appartiene alla mitologia celtica (ma potrebbe rientrare in qualunque catalogo mitologico per la sua funzione..) la magica figura della Banshee, donna nascosta e profetica, qui virata a Cassandra che annuncia la morte, antica oltre la Storia. E poi ci sono gli animali, compagni più loquaci degli umani, forse più saggi dei loro “evoluti” amici bipedi, capaci di suscitare in loro la tenerezza ormai dimenticata. Depositario per affinità elettiva del teatro di Beckett e di Pinter mescolato al cinema “nero” di Tarantino e dei Coen (e non solo), Martin McDonagh ha distillato su quest’isola-mondo a lui cara il meglio – ad oggi – del proprio sguardo visionario e organico, riuscendo a superare per complessità, intelligenza e bellezza pura ogni proprio lavoro precedente. Il film uscirà in Italia nel febbraio 2023, in piena stagione da Oscar.