“Stamattina ho recuperato uno di quei mille giorni di scuola che il regime fascista mi ha sottratto”. E’ ancora emozionato Ugo Foà, 94 anni, quando lo raggiungiamo telefonicamente nella sua abitazione romana. Ha appena messo piede in casa dopo un viaggio di 220 chilometri da Arezzo a Roma. “Una fatica che è valsa la pena perché per me è stato davvero di nuovo il mio primo giorno di lezione”. Ugo era un bambino quando Benito Mussolini e il regime fascista approvarono le leggi razziali con la complicità del re Vittorio Emanuele II che controfirmò il provvedimento. Con lui, c’erano molti ragazzi di tutta Italia che hanno scelto di frequentare la quarta liceo alla Cittadella della Pace a Rondine – pochi chilometri da Arezzo – ma anche anche Miriam Cividalli, Lello Dell’Ariccia, Claudio Fano, Carla Neppi Sadun, Fabio Di Segni, Gianni Polgar e Nando Tagliacozzo, tutti testimoni della segregazione razziale voluta dal fascismo.
Dopo 84 anni, grazie alla collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Cittadella ha suonato la campanella per nove ex alunni ebrei. Un inizio anno toccante: seduti
uno accanto all’altro, i giovani di oggi e i ragazzini di allora, hanno risposto all’appello fatto all’inizio della lezione con un “Presente”. “Quella mattina del 5 settembre 1938 – racconta Foà – la ricordo ancora benissimo. Avevo dieci anni e avevo terminato le elementari. Il mio più grande desiderio era quello di andare a scuola con i fratelli più grandi. Quando mio padre mi ha detto che non saremmo più potuti andare a scuola la mia reazione è stata quella di scoppiare a piangere. Era un mio diritto andare a lezione”. Un racconto fatto tra i banchi della Cittadella dove “ho detto che una delle cose che è venuta meno, in quel periodo, è stata la solidarietà tra noi ragazzi. Nessuno dei miei compagni è venuto a cercarmi. Li giustifico perché eravamo sotto la dittatura e sicuramente i loro genitori li avranno invitati a lasciar perdere”.
Presente, collegata online, anche la senatrice a vita Liliana Segre, che ha voluto richiamare il ricordo della maestra: “Ho mica fatto io le leggi, rispose a mia madre, e se ne andò senza abbracciarmi. Si cominciò con le leggi razziali e si finì ad Auschwitz per la colpa di essere nati. Di queste cose è difficile parlare, si tace o si ha la fortuna di riuscire a scrivere, come fecero Primo Levi e altri. Ma che la parola indifferenza che io ho tanto voluto al memoriale della Shoah, nel 2021, a Milano, non vinca su tutto! Rondine non è indifferente, Rondine è fantastica, e la sua scuola di inclusione è il contrario di chi ti fa trovare la porta chiusa. Grazie Rondine”.
Parole che sposano quelle di Lello D’Ariccia, presidente del “Progetto memoria”, uno dei testimoni del rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, anche lui tra i banchi a Rondine: “Ciò che è avvenuto stamattina è stato un risarcimento. E’ stato – spiega a ilFattoQuotidiano.it – davvero coinvolgente. Ci siamo seduti tra i ragazzi; tutti hanno preso la parola. Nel 1937 avevo un anno; non ho mai potuto frequentare l’asilo, la scuola. Vedevo i miei vicini di casa tornare da lezione, mi raccontavano ma io non potevo fare nulla. Oggi la violenza non è sparita basta pensare all’Ucraina, a quanto accade nel mar Mediterraneo. Dobbiamo fare in modo che il lutto e il ricordo possano diventare una memoria da condividere”.
Così è stato a Rondine. Lo conferma Elena Longoni, 18 anni, iscritta al liceo Majorana di Desio ma in “distacco” alla Cittadella: “Non avevo mai incontrato direttamente i testimoni di quell’epoca. Ho avuto modo di parlare a tu per tu con Gianni Volgar: è stato indimenticabile. Non so se cambierà la mia vita ma i loro sguardi grati nei nostri confronti mi hanno già cambiata” racconta a ilfatto.it.
Dello stesso parere Carlo Martinico, 18 anni del liceo “Fardella” di Trapani: “Racconti del genere non possono non coinvolgerti. Il concetto della memoria, oggi, viene dato troppo per scontato. Dobbiamo ricordare per non fare ripetere quello che è accaduto in passato. Colpevoli sono stati anche quelli che facevano finta di nulla: l’indifferenza. Se un giorno dovessi avere dei figli parlerò di questi testimoni, cercherò di trasmettere loro i valori del fare memoria che non è ricordare ma renderla concreto nella quotidianità”.