Il 50% dei britannici si dichiara già scontento della sua nomina mentre due terzi del popolo (il 67%) dicono di non credere che il suo governo abbia le idee giuste per risolvere problemi pressanti come il crescente costo della vita
Look asettico e tono pacato, ma la nuova lady di ferro della politica britannica, chiamata a riportare ordine all’interno del partito conservatore dopo gli schiamazzi di Boris Johnson, non convince in partenza.
Nel giorno in cui Lizz Truss riceve il mandato dalla regina Elisabetta come primo ministro numero 56 e terza donna -conservatrice- in carica, il 50% dei britannici si dichiara già scontento della sua nomina mentre due terzi del popolo (il 67%) dicono di non credere che il suo governo abbia le idee giuste per risolvere problemi pressanti come il crescente costo della vita (YouGov).
La missione che attende la nuova premier britannica è ciclopica: il paese è sull’orlo della recessione, dal balletto di previsioni della Banca d’Inghilterra sull’inflazione impazzita che potrebbe balzare al 13% o addirittura al 22% secondo Goldman Sachs, mentre ad ottobre le bollette energetiche saliranno dell’80%: un incubo per le famiglie e una minaccia di bancarotta per le imprese.
“Realizzerò un piano audace per tagliare le tasse e far crescere l’economia” ha detto la nuova leader di fronte alla platea tory, dopo l’annuncio della vittoria contro l’ex cancelliere Rishi Sunak che no, le tasse le avrebbe abbassate solo una volta domata l’inflazione.
Obiettivo dichiarato dalla Truss è far ottenere una ‘grande vittoria ai conservatori’ alle elezioni del 2024. Compito arduo non solo viste le divisioni interne al partito e alla sfiducia dopo le malefatte accertate del suo predecessore, ma anche considerato che i conservatori sono ormai al governo da 12 anni ininterrotti.
La Truss che non è stata votata dal popolo ma dai 172 mila membri del suo partito, per tenersi la poltrona dovrà fare ora una dura opera di convincimento degli elettori, parlando alla loro pancia.
Priorità carovita e crisi energetica – Se il governo Johnson era stato criticato per l’alto livello di tassazione, la Truss ha annunciato marcia indietro sull’aumento della corporation tax dal 19 al 25% e l’abolizione anche dell’aumento dell’1,25% dei contributi. L’accetta fiscale del suo team potrebbe colpire anche IVA e tasse di successione ma non è ancora chiaro come la nuova pm troverà copertura a queste misure, se non ricorrendo ad ulteriori, ed ingenti, livelli di indebitamento (attualmente al 95,5%).
La promessa pre elettorale era stata quella di presentare un piano per risolvere la crisi energetica entro una settimana dalla sua nomina a premier. Di fatto ieri la Truss ha sottolineato che intende “risolverla occupandosi delle bollette di 28 milioni di famiglie”, ovvero congelare il tetto massimo a 1971 sterline invece delle 3549 che scatteranno ad ottobre, (con un costo stimato per il governo di 100 miliardi di sterline in prestiti alle compagnie energetiche), ma anche “affrontando le forniture di lungo periodo”. Maggiori dettagli sono attesi entro giovedì 8 settembre, intanto la nuova lady di ferro, grande sostenitrice del nucleare, dovrebbe sollevare il divieto di fracking (ovvero la controversa pratica di fratturazione idraulica per ottenere gas e petrolio) e accelerare piani per fornire nuove licenze di estrazione di gas e petrolio dal Mare del Nord.
Il ruolo in Ucraina e in politica estera – ‘Dobbiamo tener testa a Vladimir Putin’ è il mantra della risoluta (o ‘belligerante’ come la definiscono i russi) ex ministra degli esteri che potrebbe adottare posizioni sempre più intransigenti come usare armi nucleari e declassificare le informazioni dell’intelligence sulla Russia. Si attende che uno dei suoi primi viaggi come primo ministro sarà proprio in Ucraina a testimoniare la continuità degli impegni presi dal suo predecessore Johnson con l’amico Presidente Volodymyr Zelensky, e per riaffermare che l’Ucraina non avrà un alleato migliore del Regno Unito. Sul versante difesa, ai tempi di una delle più gravi emergenze sul fronte del tasso di povertà, la Truss ha promesso l’aumento al 3% del PIL della spesa per la difesa entro il 2030 e nel suo tentativo di rivedere la politica estera del Regno Unito, indurirà i rapporti con la Cina, partner strategico con importazioni per 65 miliardi di sterline, che ora sarà definita una minaccia alla sicurezza nazionale.
Anche in Europa potremo vedere il suo pugno di ferro. Ex europeista che nel 2016 ha fatto campagna con i ‘remainers’ per dire no al divorzio dall’Unione Europea, la Truss ha dovuto presto cambiare bandiera e schierarsi con i brexitieri di Boris Johnson e ora va dritta e diretta con il disegno di legge della discordia con il quale il Regno Unito tenta di modificare in modo unilaterale il famigerato protocollo Brexit negoziato a Bruxelles. Una mossa che dovrebbe risolvere l’empasse con gli unionisti democratici dell’Irlanda del Nord che stanno tenendo in ostaggio la formazione del nuovo esecutivo di Stormont fino a che non sarà risolto il nodo dei controlli doganali a Belfast, ma che di sicuro riaccende le tensioni tra i due lati della manica e potrebbe portare ad una guerriglia commerciale con la UE.
All’orizzonte sempre più vicino c’è anche la crisi dell’ Unione stessa del Regno, la Corte suprema a ottobre dovrebbe infatti emettere il giudizio sulla legittimità o meno di un un secondo referendum per l’indipendenza della Scozia. Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon sta pianificando di tenere una nuova consultazione per staccarsi da Londra nell’ottobre del 2023. La Truss? Dice che “la cosa migliore da fare con la Sturgeon é ignorarla”.