Per la prima volta un gruppo di 40 cittadini e membri di enti memoriali italiani come Anpi, Aned (Associazione Nazionale Ex Deportati) e Anvrg (Associazione Nazionale Volontari e Reduci Garibaldini, che cura la memoria dei partigiani italiani che hanno combattuto in Jugoslavia) parteciperà alla commemorazione della liberazione del campo di concentramento fascista di Arbe, sull’isola di Rab, in Croazia, avvenuta, ad opera dei reclusi stessi, l’8 settembre del 1943. Il gruppo, guidato dallo storico Eric Gobetti, noto per il successo del libro sui drammi del confine orientale (E allora le foibe?, Laterza) e dal ricercatore Andrea Giuseppini, curatore del sito www.campifascisti.it e direttore dell’associazione Topografia per la storia.
Eric Gobetti, quella che riguarda i campi di fascisti è una pagina di storia rimossa in contrasto con una loro presenza drammatica, consistente e storicamente documentata, come emerge dalla mappatura in www.campifascisti.it. Dov’erano principalmente collocati i campi fascisti?
I campi fascisti attraversavano tutto il territorio italiano e, principalmente, vi era una forte concentrazione lungo il confine orientale. Non vanno poi ovviamente dimenticati i tanti campi di concentramento in Libia e in Etiopia.
E come funzionavano? Chi coinvolgevano?
Non funzionavano in modo omogeneo. Ve ne erano di molti tipi: campi di concentramento, di transito, di lavoro coatto, di distaccamento di lavoro, di prigionia di guerra, carceri, carceri militari, carceri sussidiari, colonie penali, località di internamento, istituti di rieducazione per minori. Per quanto riguarda i campi di concentramento anche la gestione era diversificata, a volte del ministero dell’Interno, altre volte dell’esercito o di specifiche unità militari. Questo caso era il più frequente, perché spesso i campi venivano istituti in zone di tensione, a seguito di esiti di operazioni militari. Molti, sul confine orientale, coinvolgevano soprattutto civili, non partigiani o prigionieri politici. Infatti, si cercava di arginare il fenomeno della resistenza, rastrellando e conducendo nei campi larga parte della popolazione.
Quale crede sia stato il senso politico di questa rimozione?
Questo tipo di rimozione storica rientra nel fenomeno del grande oblio delle responsabilità e delle violenze fasciste, che convalida il mito degli “Italiani brava gente”. Questo vuoto non è stato un’operazione strategica e volontaria ma è andato di pari passo alla costruzione decennale di una memoria nazionale fortemente vittimaria, come dimostra anche il caso delle foibe, di cui ho parlato nel mio libro. Ad ogni modo, politicamente, non aver fatto i conti con le proprie responsabilità nazionali ha creato un terreno fertile per il radicamento di un forte discorso nazionalista e conservatore. Al contempo, la mancata condanna fascista ha portato a leggere il fascismo come regime meno violento di quello che è stato, implicandone una rivalutazione nel discorso pubblico, legittimando partiti apertamente neofascisti o comunque molto vicini a quel tipo di discorso politico e, a oggi, tanto forti da rischiare di vincere le elezioni.
Come mai partire da Arbe?
Arbe è stato uno dei più grandi campi di concentramento, con oltre 5mila internati e 1.500 vittime. È un luogo simbolico, vicino al confine orientale e quindi a quelle zone dove si è sviluppato il fenomeno delle foibe. In questo senso il valore simbolico è duplice: mostrare la violenza fascista e decostruire il paradigma vittimario degli “Italiani brava gente”, ancora così politicamente centrale.
Quali saranno le tappe del viaggio?
Il primo giorno, 6 settembre, prevede la visita di Fiume, simbolo emblematico del nazionalismo italiano. Il secondo giorno a Podhum, luogo di una grande strage fascista e, infine, celebreremo la liberazione di Arbe l’8 settembre.
Foto in pagina – Autori sconosciutio/Wikipedia