Arrestato nel 1993, quando aveva 49 anni, poi condannato in via definitiva e quindi assolto nel processo di revisione solo nel 2017, Orofino era stato accusato da Vincenzo Scarantino, il falso pentito che aveva sostenuto di aver organizzato la strage, e da Salvatore Candura, anche lui un calunniatore
Fu condannato con l’accusa di aver custodito la Fiat 126, poi trasformata nell’autobomba che uccise il giudice Paolo Borsellino. Solo che quelle accuse erano false. Nel frattempo, però, Giuseppe Orofino si era fatto diciassette anni di carcere. Ora per quell’ingiusta detenzione i suoi eredi saranno risarciti con un milione e 404.925,25 euro. Lo ha deciso la corte d’Appello di Catania, come racconta l’edizione palermitana di Repubblica. Arrestato nel 1993, quando aveva 49 anni, poi condannato in via definitiva e quindi assolto nel processo di revisione solo nel 2017, Orofino era stato accusato da Vincenzo Scarantino, il falso pentito che aveva sostenuto di aver organizzato la strage, e da Salvatore Candura, anche lui un calunniatore.
Secondo l’accusa inziale, supportata dalle indagini del gruppo di investigatori capitanato da Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002), Orofino avrebbe fornito una targa pulita per la 126 rubata – che avrebbe anche tenuto nella sua officina – poi utilizzata come autobomba nella strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992: oltre a Borsellino morirono gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Nel luglio scorso il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage e hanno assolto il terzo imputato, il poliziotto Michele Ribaudo. Erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Secondo l’accusa erano stati loro a imbeccare i malavitosi rendendoli complici degli stragisti e accusatori di persone – alcune già condannate per mafia – poi dichiarate innocenti.
La mattina del 20 luglio del 1992 Orofino era andato a denunciare il furto di alcune targhe di una Fiat 126, che custodiva all’interno della sua officina e che avrebbe dovuto riverniciare. I poliziotti si erano insospettiti subito: due ore dopo erano arrivati a perquisire quella carrozzeria. Eppure gli investigatori scopriranno che l’autobomba esplosa in via d’Amelio era effettivamente una 126 soltano nel pomeriggio del 20 luglio, mentre ci vorranno ancora altri quattro giorni per capire che effettivamente la Fiat esplosa montava delle targhe rubate. Eppure i sospetti sul carrozziere scattano subito, senza alcun elemento concreto: per quale motivo? Orofino verra assolto nel processo di revisione solo nel 2017, dopo il pentimento di Gaspare Spatuzza. In quel 20 luglio del 1992, però, è ancora un uomo come gli altri: le false accuse di Scarantino lo tireranno in ballo solo un anno e mezzo dopo. Come mai gli investigatori sono già così interessati dalla sua autofficina, appena 18 ore dopo il botto di via d’Amelio? E’ uno dei tanti misteri irrisolti della strage di via d’Amelio: il depistaggio delle indagini è ricostruito con la voce dei protagonisti in Mattanza, il podcast sulle stragi del ’92 del Fatto Quotidiano.