“Scenari inquietanti”, li definiscono i pubblici ministeri che hanno indagato sull’incendio che il 29 agosto 2021 ha completamente distrutto la Torre dei Moro a Milano. Perché sapevano che quei pannelli erano infiammabili, ma vennero ugualmente scelti perché altre tipologie avrebbero comportato “un extracosto” di poco meno di 1 euro al metro quadro. Una questione di risparmio, insomma. Non solo: lo stesso modello è stato usato in “svariati edifici pubblici e civili”, in Italia e in altri Paesi. La Procura ha chiuso l’inchiesta, in vista della richiesta di processo, a carico di 18 persone per disastro colposo sul maxi rogo al grattacielo di 18 piani, che prese fuoco poco più di un anno fa. Nell’atto di conclusione delle indagini, coordinate dall’aggiunto Tiziana Siciliano e dalla pm Marina Petruzzella, figurano i nomi dei legali rappresentanti delle società che hanno realizzato l’edificio e che hanno avuto a che fare con la posa dei pannelli dei rivestimenti delle facciate altamente infiammabili. Indagati anche due vigili del fuoco che nel 2011 rilasciarono la certificazione antincendio.
E viene ricostruito nei dettagli quanto ha portato, ad avviso di chi ha curato l’inchiesta, alla totale distruzione dell’edificio. L’indagine sul maxi rogo della Torre dei Moro dell’agosto 2021 “nel suo complesso ha disvelato scenari inquietanti, e al contempo istruttivi e che devono servire da monito, su violazioni delle normative sulla sicurezza dei prodotti e su pratiche elusive per il conseguimento di certificazioni e omologazioni, adottati da produttori, distributori e presso istituti di certificazione”, scrivono il procuratore di Milano Marcello Viola e l’aggiunto Siciliano. Cosa emerso? La procura parla di concorso, da parte degli indagati, ai “vizi di progettazione e di realizzazione degli esterni della costruzione” e “alla scelta dei pannelli di rivestimento delle vele del palazzo, responsabili dell’incontrollabile propagazione dell’incendio”.
L’episodio, si legge ancora, “costituisce un caso di particolare gravità, dalle molteplici, complesse implicazioni”. È emerso che “materiali identici e stesse tecniche di messa in opera, che trasformavano il palazzo di Milano in una torcia, sono utilizzati in Italia e in altri paesi per le facciate di svariati edifici pubblici e civili”. La tragedia del 2017 della Grenfell Tower di Londra, ricordano ancora Viola e Siciliano, come era già venuto a galla, “fu dovuta ai rivestimenti della facciata con pannelli ACP (Aluminium Composite Panel) identici a quelli della torre di via Antonini a Milano, imbottiti di polietilene, montati in sospensione col vuoto retrostante, con decine di camini verticali, di altezze anche superiori ai 54 metri, a contatto con gli stessi pannelli altamente combustibili”.
Ad avviso degli inquirenti, alcuni indagati – come i responsabili della società che si occupò dei lavori di rivestimento delle facciate – erano stati informati che quei pannelli “Larson Pe” erano fatti di “un materiale combustibile”, che “non si deve usare in nessun edificio”. Vennero scelti, però, anche perché, come emerge dagli atti della chiusura dell’indagine e in particolare da alcune mail, altri pannelli avevano “un extracosto” di “0,95 euro al metro quadro”. Tra i 18 indagati per disastro colposo figurano Roberto Moro, amministratore unico di Moro Costruzioni, general contractor dell’insediamento edilizio, tre responsabili della società committente, Polo srl, un incaricato alle vendite degli appartamenti, il direttore dei lavori e il responsabile tecnico del cantiere. E ancora un dirigente e un funzionario dei vigili del fuoco che diedero il “parere favorevole” con cui la Polo ottenne “il certificato prevenzione incendi”.
Sotto inchiesta anche i responsabili di Zambonini spa, che si occupò dei lavori di rivestimento delle facciate, e l’amministratore della ditta che commercializzava in Italia i pannelli Larson prodotti dalla società spagnola Alucoil, che conta tra gli indagati il legale rappresentante e un export manager. Nelle 27 pagine dell’atto di chiusura indagine, piene di dettagli basati su una maxi consulenza, la procura vaglia posizione per posizione e parla di “un crescendo di malafede”, soprattutto dei responsabili di Zambonini, Polo e Moro Costruzioni, per “continuare a occultare la vera identità e scarsa qualità dei pannelli installati”. I condomini, si legge, già da anni lamentavano “l’annerimento dei pannelli”. Il rogo – ad avviso degli inquirenti – divampò per un caso fortuito, forse una sigaretta gettata da un balcone e sfruttò pure “l’effetto camino” delle facciate “a vela”.