di Stefano Briganti
Quando il Sars-Cov 2 fece la sua comparsa in Cina per poi diffondersi in tutto il mondo, l’Unione europea entrò attivamente nella gestione della pandemia solo dopo lo sviluppo dei vaccini negoziando contratti e volumi con i fornitori a livello Unione. Due anni dopo quel fatidico febbraio 2020 inizia una nuova emergenza innescata dalla scellerata invasione russa in Ucraina. Da brava e asservita “atlantista” l’Ue, seguendo le richieste di Washington, scatena su Mosca una grandinata di sanzioni dando inizio a una “guerra economica” Ue-Russia senza precedenti.
Tutti i paesi Ue, tranne un paio, fanno a gara a chi si allinea prima e meglio in un fiorire di riunioni a Bruxelles di ministri degli Esteri, di capi di governo, di vertici Nato e di dichiarazioni muscolari. Tra le varie sanzioni spicca la “madre di tutte le sanzioni”, ovvero l’indipendenza dalle fonti energetiche russe da parte del cosiddetto “blocco occidentale”. Tra i facenti parte del “blocco” l’Ue è la più dipendente da carbone, petrolio e soprattutto gas dalla Russia ma deve seguire le linee decise da Washington. Così dichiara orgogliosamente: “Embargo del carbone russo da subito e del petrolio il 5 dicembre. Per il gas dobbiamo vedere”. Poi sempre con orgoglio l’annuncio: “Abbiamo iniziato un percorso di diversificazione degli approvvigionamenti di gas per affrancarci da Mosca”.
Washington, che dal 2021 coltivava il momento giusto (Biden a giugno chiese alla Merkel di non usare il Nord Stream 2 ma fu respinto), offre il suo Gnl in alternativa, così nei primi sei mesi del 2022 vende 30 milioni di metri cubi all’Ue contro i 22 dell’intero 2021 e diventa il primo esportatore mondiale di Gnl. Poi inizia una processione in Qatar, Mozambico, Algeria, Nigeria, Azerbaijan per sostituire il gas russo. L’Ue comincia a ridurre le importazioni e annuncia: “Dobbiamo affrancarci subito dal gas russo e non comprarlo più”.
Il prezzo del gas schizza alle stelle e così la Russia vende meno ma guadagna di più. Cosa che Zelensky non gradisce e protesta con tutti. Mentre l’Ue lotta con il “petto al piombo” delle folli bollette del gas, dell’inflazione e dei sacrifici richiesti a tutti i suoi paesi, la Russia, in risposta alle sue dichiarazioni bellicose brucia sul tempo Bruxelles e comincia a chiudere sempre di più i rubinetti. A questo punto l’Unione si indigna e dice: “la Russia e Gazprom non sono fornitori affidabili”. Washington tace perché agli Usa del gas russo non interessa niente, anzi se non c’è va anche meglio, così l’Ue diventa dipendente dagli Usa & Co pure sul gas.
Ora mi chiedo: se l’Unione con fermezza decide di rinunciare al gas russo, per quale motivo Gazprom, che glielo vende, dovrebbe continuare a rivelarsi un fornitore affidabile? Avrebbe interesse a dimostrarlo se l’Ue continuasse ad acquistare da lui ma in queste circostanze è irrilevante. E’ evidente che l’indipendenza dal gas russo avverrà con i tempi decisi da Mosca, non con quelli dell’Ue come pensavano di fare a Bruxelles, e molti sono concordi nel dire che lo stop completo sarà questione di poche settimane.
Ora si parla di tetto al prezzo del gas russo per danneggiare la Russia, ma qualcosa non torna. Se il gas non verrà più importato da Mosca a cosa servirà mettere un tetto al prezzo? Per capire basterebbe guardare il prezzo del Gnl Usa immesso nei tubi (inclusi trasporto via nave e rigassificatori) che nel 2021 è stato di 34,5 €/MWh mentre quello del gas russo era di 22,6 €/MWh (Sole 24ore). Senza più neppure l’attuale gas russo, la maggioranza del gas sarà Gnl (Algeria e Azerbaijan sono via tubo) e allora la mazzata sul costo energetico sarà più forte di quella odierna.
Dovrebbero forse dirci che il tetto del prezzo non serve contro Mosca da cui non prenderemo più il gas, ma contro i maggiori costi che ci regaleranno il Gnl da Usa, Africa e Qatar. Perciò l’idea è “fuori tempo” per come ci viene venduta (danno a Mosca) ma utile per nascondere i veri vincitori della “diversificazione Ue”: gli Stati Uniti.