“Un grande, incomprensibile silenzio”. È quello che è calato, secondo Rosy Bindi, sulla campagna elettorale in fatto di lotta alla mafia e alla corruzione. L’ex presidente del Partito democratico, ed ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, da parecchi mesi in ritiro volontario dal dibattito politico, è intervenuta alla presentazione dell’appello #Nosilenziosullemafie lanciato da Avviso Pubblico, la rete contro le mafie e la corruzione che raccoglie oltre 500 enti locali e 11 Regioni. L’obiettivo è “sollecitare i candidati e le candidate alle prossime elezioni a parlare di mafie e corruzione nel corso della campagna elettorale”, ma non solo. I firmatari, se eletti, dovranno impegnarsi a portare avanti cinque politiche e cinque proposte di impegno che l’associazione ha elaborato.
Certo che le priorità di questa campagna elettorale sono giustamente altre, a cominciare dalla crisi del gas. Ma, ragiona Avviso pubblico, è sufficiente questo per fare scomparire completamente dall’agenda i temi della legalità? E poi, siamo sicuri che il contrasto ai clan e alle cricche delle mazzette – spesso in combutta fra loro con la benedizione della politica – non abbiano nulla a che fare con la gestione della crisi economica? Non a caso l’associazione propone, fra gli impegni dei candidati che sottoscriveranno l’appello, di “garantire la massima vigilanza sulla gestione e l’impiego dei fondi del Pnrr, affinché queste risorse siano adeguatamente impiegate per garantire lavoro, istruzione, sanità, sviluppo sociale ed economico, equo e sostenibile, a tutte le cittadine e cittadini italiani”.
Tant’è che – ha osservato Bindi – quasi tutti i programmi elettorali citano questi punti (più la mafia che la corruzione, a dire il vero), ma lì restano, avvolti dal silenzio. “Lo Stato ha vinto contro la mafia delle stragi, ma combattere la mafia di oggi è più difficile, perché è più insidiosa e ha più complici che vittime”. L’ex presidente della Commissione parlamentare ha voluto lanciare anche lei un messaggio al “legislatore del futuro”: “Che non si sogni neanche lontanamente di toccare la legge Rognoni-La Torre sulle misure patrimoniali contro i mafiosi, che dopo quarant’anni funziona ancora benissimo”. E quando metterà mano alla riforma dell’ergastolo ostativo in base alla decisione della Corte costituzionale – un altro punto d’impegno previsto dall’appello – si impegni almeno a imporre una relazione annuale sull’applicazione della nuova norma, “perché sono molto perplessa sul fatto che si possano individuare elementi oggettivi che sanciscano la fine dell’appartenenza di un mafioso alla mafia, se non c’è la collaborazione con lo Stato”.
“La mafia non è scomparsa dalla vita di tutti i giorni, è scomparsa dai mass media”, ha puntualizzato Enzo Ciconte, fra i massimi studiosi in materia. Ciconte vede il rischio “di una nuova convivenza” tra mafia e politica, che richiama la famosa dichiarazione del ministro berlusconiano Pietro Lunardi, nel 2001, nonché il “quieto vivere” fra Stato e Cosa nostra di andreottiana memoria. “Questo pericolo c’è perché la mafia non spara più. E allora qualcuno può pensare: ‘Chi se ne importa se qualche fondo, qualche appalto, va a finire alle cosche…?’. Non parlare di mafia è un errore tragico e un errore strategico”.
Il silenzio, peraltro, contrasta con i periodici allarmi istituzionali e con i numeri. “Commissione parlamentare antimafia, ministero dell’Interno, Direzione nazionale antimafia, Banca d’Italia raccontano come la pressione mafiosa nell’economia e sui territori si sia particolarmente acuita ormai in tutto il Paese, negando diritti e libertà fondamentali a migliaia di cittadini e operatori economici”, nota Avviso pubblico. L’Unità di Informazione Finanziaria conta 74.233 segnalazioni di operazioni sospette a rischio riciclaggio nel primo semestre 2022, il 6% in più rispetto allo stesso periodo del 2021, già anno record. Dall’agosto 2020 a fine luglio 2022 le Prefetture hanno emesso quasi 4.000 interdittive ad aziende sospettate di collusioni mafiose, una media di cinque al giorno, informa il ministero dell’Interno. Intanto, dal 1991 a oggi sono stati sciolti per condizionamento mafioso 278 Comuni italiani. Sono questi i numeri della mafia che non spara, non fa notizia, non fa presa nei talk show elettorali.
L’appello #Nosilenziosullemafie è stato illustrato da Pierpaolo Romani e Roberto Montà, rispettivamente coordinatore e presidente di Avviso Pubblico. Per inciso Montà, sindaco uscente di Grugliasco e molto stimato nel torinese, ha visto sfumare all’ultimo momento la sua candidatura “dal basso” per il Pd, che alla fine gli ha preferito il parlamentare uscente Davide Gariglio. Le cinque proposte politiche, spiegate in modo approfondito sul sito dell’associazione, chiedono di “favorire l’uso sociale dei beni confiscati e garantire il funzionamento delle aziende sottratte definitivamente alla criminalità organizzata; semplificare la normativa in materia di appalti senza perseguire logiche di deregolamentazione; sostenere giornalisti/e, amministratrici e amministratori locali minacciati e intimiditi; stanziare adeguate risorse in favore delle forze di polizia e della magistratura per rafforzare il numero delle persone che vi operano; garantire la massima vigilanza sulla gestione e l’impiego dei fondi del Pnrr”.
Le cinque proposte di impegno contemplano invece la riforma della legge sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose, l’introduzione di una legge-quadro sul gioco d’azzardo, la riforma della legge sui testimoni di giustizia, l’approvazione di una legge organica sulle lobby e, appunto, “la riforma dell’ergastolo ostativo, da approvare entro l’8 novembre 2022, secondo l’ordinanza emessa nel 2021 dalla Corte Costituzionale”.