Ai furbacchioni in divisa conviene sempre resistere, a maggior ragione se dall’altra parte c’è una amministrazione pubblica ondivaga, che arriva a difendere un’intera commissione d’esame anche quando dichiara il falso, che promuove dirigenti quegli stessi funzionari che ha denunciato, ma tiene sotto schiaffo chi lo fece prima di lei facendo emergere i brogli. Un nuovo capitolo arricchisce la saga del concorso più “bandito” della storia, quello per 69 posti da dirigente all’Agenzia delle Dogane che da 11 anni tiene ancora banco nelle aule di tribunale, dopo aver collezionato una decina di sentenze tra giustizia penale, civile e amministrativa.

La notizia è che il 31 agosto scorso il Tribunale Civile di Roma ha condannato per falso l’Agenzia e alcuni concorrenti che si erano costituiti insieme ad essa per “salvare” la graduatoria del concorso. La sentenza acclara, a sei anni dalla prima denuncia del 2016, che anche la commissione istituita dall’ente aveva anche attestato fatti falsi nei verbali di correzione, che vengono pertanto dichiarati “inesistenti”; il che, mancando di produrre qualsiasi effetto successivo, demolirebbe il resto del concorso. Ma è davvero la fine della saga? Macché, il suo epilogo ancora oggi è appeso a una ­decisione del Consiglio di Stato cui si sono rivolti ancora i sedicenti vincitori di un concorso apparso da subito truccato. L’udienza è fissata per l’8 novembre.

Le stranezze erano emerse infatti sin dalle prove preselettive del 2012, nelle quali alcuni candidati rispondono esattamente ai quesiti con percentuali da premio Nobel: dall’80% al 100 % di risposte esatte. Si fanno gli scritti e, con sorpresa di tutti, escono 2 tracce che corrispondono ad una circolare e a un corso opera di un commissario interno. I sospetti iniziano a prendere corpo, fioccano le prime interrogazioni parlamentari. Agenzia delle Dogane e Commissione non ne tengono conto, vanno avanti a testa bassa e si fanno gli orali. Nel frattempo cinque funzionari fanno ricorso, in seguito al quale due sentente del Tar del Lazio portano all’annullamento della graduatoria finale: dalla documentazione era emerso infatti che il dirigente generale delle Dogane, quel famoso commissario interno, aveva corretto da solo gli elaborati togliendo di mezzo il 90% dei concorrenti; non solo, l’efficienza della commissione risulta prodigiosa: in un sol giorno corregge 178 temi con una media di 2 minuti e 42 secondi, troppo pochi considerando che solo per leggere un tema, come provato nel processo, ce ne volevano dagli 8 ai 12. Ma c’è di più.

Già in quella sede il TAR, sia pure in via incidentale, ritiene fondata la querela di falso in atto pubblico presentata dai ricorrenti, oggi oggetto della sentenza civile, contro un verbale con cui la commissione, probabilmente consapevole di essere stata troppo “disinvolta”, aveva provato a sanare quella condotta; anche su questa base il TAR dà un giudizio di “inaffidabilità” operativa della commissione, tanto da richiedere la sua sostituzione con una commissione diversa. Il Consiglio di Stato conferma sostanzialmente la sentenza del TAR, limitandosi a richiedere una nuova valutazione delle prove scritte dei non idonei, attraverso una procedura di anonimizzazione delle prove scritte.

E l’amministrazione pubblica in tutto questo? In tutte le fasi processuali l’Avvocatura di Stato difende il concorso, anche di fronte all’accertato plagio di almeno due candidati, con postulati che fan tremare i polsi dei giuristi: i concorrenti copioni, secondo l’Avvocatura, erano dotati di una “memoria poderosa” e si erano “ricordati”, fin nelle virgole, di intere circolari scritte dal loro dirigente, nonché commissario interno del concorso. E dunque? Si mette in moto la Procura della Repubblica di Roma e il 21 settembre 2016, a riscontro di svariate segnalazioni/denunce della concorrente Claudia Giacchetti, dispone perquisizioni e sequestri nella Direzione Generale dell’Agenzia, negli uffici e abitazioni degli indagati. Si trovano gli elementi di prova: in particolare un testo contraffatto relativo al Regolamento Europeo 450/2008 (mai entrato in vigore) contenente 16 dei 18 temi che sarebbero dovuti essere sorteggiati, tra cui, ovviamente, quelli poi estratti e diventati tracce delle prove scritte. Tali tracce vengono trovate, guarda il caso, nelle apparecchiature informatiche di proprietà del segretario particolare del Direttore Generale di allora.

E anche qui, altra stranezza: come è possibile che un regolamento mai entrato in vigore sia stato ammesso tra i testi consultabili alle prove scritte? La risposta è nelle date, come riscontrato durante il processo agli 11 imputati: il giorno delle prove il Regolamento contraffatto doveva essere in vigore, pochi giorni prima degli scritti però la UE comunica ai Paesi membri che il Regolamento il 450/2008 avrebbe più abrogato e sostituito il 2454. Non c’è più tempo però per contraffare un nuovo testo, così le Dogane inspiegabilmente autorizzano lo stesso la sua introduzione in aula, decisione senza cui tutto il concorso avrebbe preso un’altra piega, dal momento che senza il regolamento infarcito a mo’ di “bugiardino”, molti candidati risultati vincitori non sarebbero riusciti neppure a svolgere le tracce.

L’Agenzia delle Dogane, insieme ai sedicenti vincitori, prova in ogni modo a concludere la selezione finché, nel 202o, il nuovo Direttore Generale, Marcello Minenna, finalmente la annulla in autotutela. Lo fa con una valutazione durissima sui comportamenti riscontrati. Non solo, nomina una commissione ispettiva interna che analizza tutti gli elaborati dei concorrenti utili in graduatoria. La relazione conclusiva comprova i fatti, tanto che l’amministrazione denuncerà alla Procura della Repubblica altri 23 funzionari (oltre agli 11 già imputati) per plagio. Dieci imputati sono poi stati assolti (non prosciolti) a gennaio dal Tribunale di Roma per sopraggiunta prescrizione.

Nel frattempo la funzionaria Giacchetti che fece il primo ricorso con altri colleghi e denunciò anche penalmente i fatti diventa oggetto di discriminazioni sul posto di lavoro. Stando al suo legale, per anni medita di licenziarsi. Dal processo emergono le e-mail scritte da un dirigente generale al diretto superiore della funzionaria in cui il primo intima al secondo di non conferire incarichi alla dipendente (per quanto titolata) a causa dei ricorsi presentati; il motivo? Soggetto “inaffidabile e non degno di fiducia per l’Amministrazione”, testuali parole. Non solo, Il direttore Generale dell’epoca, al cui segretario particolare eran state trovate le copie informatiche contraffatte dell’ormai famoso Regolamento con le tracce del concorso, denuncia penalmente la Giacchetti per la testimonianza che rese alla trasmissione Report che nel 2020 si era occupata del caso definendo il concorso “pesantemente truccato”. Il PM inquirente archivia entrambe le posizioni dando torto al direttore.

Il concorso più “bandito” di tutti però tiene ancora banco. Dopo l’annullamento, i cosiddetti “vincitori”, resistenti anche nel processo sulla querela di falso, fanno ricorso al TAR, che dà loro torto e, immediatamente ricorrono al Consiglio di Stato, dove la causa è tuttora pendente nella speranza che resusciti la graduatoria. Insomma il concorso potrebbe riprendere vita e finire nella maniera più paradossale di tutte: con l’aggiudicazione a soggetti che l’avevano truccato, condannati in sede civile ma scampati alla condanna penale per prescrizione. Proprio la sentenza civile, sostiene però l’avvocato Carmine Medici che rappresenta chi denunciò le irregolarità, dovrebbe arginare il rischio perché “la falsità degli atti presupposti del concorso dovrebbe rendere nulla tutta la procedura e il giudizio del Consiglio di Stato non potrà non tenerne conto”.

In ogni caso il concorso più pazzo di sempre restituisce un’immagine non proprio lusinghiera dell’Agenzia, specie perché nel frattempo quattro concorrenti soccombenti nella nuova sentenza per falso hanno fatto carriera ottenendo la promozione fiduciaria e senza concorso a dirigenti. Mentre la funzionaria che fece emergere lo scandalo, Claudia Giacchetti si porta ancora addosso la croce della sanzione del richiamo verbale per aver “insinuato” l’irregolarità della prova nel 2014 e per aver parlato con Report. Anche se è stata assolta, insieme alla Rai, dall’accusa che le era stata mossa. “Da sei anni la carriera della mia cliente è bloccata da quella macchia quando dovrebbe essere sollevata da ogni addebito disciplinare e portata a esempio”, dice l’avvocato Medici. Per quanto riguarda gli imputati nel procedimento penale e già dipendenti dell’Agenzia? Non è dato sapere se nei loro confronti siano stati avviati e conclusi analoghi procedimenti disciplinari.

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