Bernardo Zannoni è un ragazzo di 27 anni che, da scrittore esordiente, ha vinto il prestigioso premio Campiello con il suo romanzo I miei stupidi intenti (edito da Sellerio). Non lo conosco personalmente né ho letto il suo libro, quindi non mi permetto di dire nulla né su di lui né sul romanzo. Stando a ciò che hanno scritto i giornali, emerge un ragazzo di umili origini, che fa tanti lavoretti per sbarcare il lunario e che alle scuole superiori era stato rimandato in Italiano (con tanto di ironie scontate sul docente che prese la decisione di valutare insufficiente in Lettere un imminente scrittore di successo). A colpirmi sono state le dichiarazioni che Zannoni ha rilasciato in un’intervista a Il Foglio.
In particolare due. La prima: alla domanda su cosa fa nella vita, risponde “amo guardare le cose”. La seconda è una risposta alla questione se l’Italia può essere un paese per giovani: “Sì, assolutamente, ma solo se i vecchi se ne vanno. Bisogna puntare sui giovani, importiamoli, insegniamo loro i veri valori, invitiamoli a leggere, a imparare le cose. Tutti i problemi che ci sono oggi, dall’omofobia al razzismo, sono risolvibili con un minimo di studio ed educazione. Io partirei da lì. Per i vecchi, basta aspettare”.
Mi ha colpito molto che un ragazzo di talento, uno che guarda le cose e sembra considerare molto l’importanza dei “veri valori” e dello studio, esprima questo disprezzo nei confronti di una categoria umana tanto ampia quanto indefinita (“i vecchi”). Mi ha colpito ma, ahimè, non sorpreso. Sì, perché al netto della genericità e sgradevolezza di alcune affermazioni, non riesco a dargli torto. Se mi mettessi anch’io a guardare le cose con gli occhi di un quasi trentenne, in particolar modo la realtà politica e sociale, non potrei che provare disprezzo verso generazioni precedenti che ci hanno consegnato a questo scenario desolante.
Quello di un paese che ha mortificato e alla fine ignorato l’istruzione e la conoscenza (lasciando che l’opinione pubblica si abbrutisse appresso alle televisioni commerciali e ai social network), in cui la logica con cui un giovane può sperare di affermarsi è quella della raccomandazione, della cooptazione (leggi: ridursi a portaborse di un potente per un tempo indeterminato) o al limite della condizione famigliare privilegiata di partenza. Un paese che si appresta ad affrontare delle elezioni quanto mai delicate (il rischio di una III guerra mondiale di cui sembra essere consapevole soltanto il Papa, peraltro capo di un’istituzione che ancora proclama ideali e comportamenti distanti anni luce dai giovani), con un contesto partitico sconfortante.
Berlusconi che candida la nuova moglie ovunque, Letta che impone Casini a Bologna (sì, Casini, quello che è in parlamento da 40 anni e che aveva giurato di abbandonare la politica se la magistratura avesse condannato Totò Cuffaro), Giorgia Meloni che pochi mesi fa pubblicava un libro in cui faceva l’elogio sperticato di Putin (salvo poi ribadire ogni giorno di essere atlantista e fedele alla Nato).
Potrei andare avanti per fin troppe righe di cui non dispongo. Insomma, una generale inadeguatezza di quelli che dovrebbero essere statisti e, invece, non hanno una sola idea concreta dell’Italia che vorrebbero costruire, di come salvare le famiglie dalla prossima crisi sociale che si preannuncia senza precedenti, di come uscire da una guerra imposta da due imperi (la Russia di Putin e l’America di Biden) e di cui a farne le spese sono soltanto i cittadini ucraini e quelli europei.
Di fronte a uno scenario del genere, dare anche solo un’occhiata al livello della classe dirigente nazionale, ti fa sembrare di trovarsi di fronte a nani e saltimbanchi che danzano come dei forsennati sulle note di una musica funebre.
Non so se Zannoni avesse in mente tutto questo quando si è lasciato andare a certe considerazioni, come non posso sapere se il suo docente di Lettere alle superiori avesse sbagliato a rimandarlo (un bravo scrittore non è per forza di cose un altrettanto bravo studente). Quello che so per certo, è che da decenni ne stiamo sbagliando troppe come sistema Paese, tanto che ormai non rischiamo più soltanto di essere rimandati, bensì la bocciatura senza appello. Sulla pelle delle famiglie e dei tanti giovani per i quali il futuro ha smesso di essere una speranza, trasformandosi in una minaccia.