E’ una stagione di elezioni cruciali in varie parti del mondo, una stagione di scelte radicali, e papa Bergoglio lancia l’allarme contro i “salvatori” sovranisti. Il pontefice argentino, contrariamente a quanto affermato nel comunicato emesso per rabbonire il governo ucraino, continua a produrre messaggi politici, a fare politica, perché come molti suoi illustri predecessori (da Paolo VI a Giovanni Paolo II) è consapevole che la Santa Sede non vive in un vuoto pneumatico e i suoi moniti etici – si tratti della decolonizzazione o dell’invasione americana dell’Iraq – riguardano situazioni geopolitiche o sociali precise.
Si profilano importanti appuntamenti elettorali in Italia, Brasile e Stati Uniti. In tutti e tre i paesi i sovranisti autoritari sono all’attacco: la Lega di Salvini e l’aspirante premier neofascista Meloni in Italia, il presidente reazionario Bolsonaro che cerca la rielezione in Brasile, il fronte sovranista e suprematista di Trump mobilitato in America per le elezioni midterm con la speranza di controllare il Congresso. Francesco non resta a guardare passivamente l’evolversi della situazione.
La sua messa in guardia l’ha infilata nell’omelia per la beatificazione di Giovanni Paolo I e lì per lì pochi se ne sono accorti. Di papa Luciani Francesco ha lodato un pontificato, che ha presentato una Chiesa dal volto sorridente, non arcigno, non lamentosa. Ma spiegando il Vangelo il pontefice argentino è entrato nel vivo dell’attuale stagione politica. “Gesù – ha detto – attirava una folla numerosa ma non si comportava da astuto leader manipolatore”. Capita invece oggi, “specialmente nei momenti di crisi personale e sociale, quando siamo più esposti a sentimenti di rabbia o siamo impauriti da qualcosa che minaccia il nostro futuro”. E’ il momento in cui si diventa più vulnerabili, “e così, sull’onda dell’emozione, ci affidiamo a chi con destrezza e furbizia sa cavalcare questa situazione…”. In questa congiuntura – ammonisce Bergoglio – qualcuno si presenta “promettendoci di essere il ‘salvatore’ che risolverà i problemi mentre in realtà vuole accrescere… il proprio potere… la propria capacità di avere le cose in pugno”.
Da tempo Francesco ha colto il pericolo di crisi delle democrazie nell’emisfero occidentale. Era il 32 febbraio 2020, la pandemia del Covid si stava rapidamente espandendo, e a Bari – al convegno dei vescovi cattolici del Mediterraneo – il pontefice esclamava di ascoltare con paura gli slogan del populismo reazionario così simili “ai discorsi che seminavano paura e odio nel decennio ’30 del secolo scorso”. Cambiano i capri espiatori, ieri ebrei e rom, oggi i migranti o gli islamici. Il segno distintivo del populismo sovranista è di spaccare la società e indicare obiettivi di odio.
E’ da cinque anni che Bergoglio denuncia l’onda nera del sovranismo populista. Nel 2017, in un’intervista al quotidiano spagnolo Pais ammonì a non trascurare gli effetti dei messaggi di paura diffusi nelle società ad opera di partiti e movimenti. Negli anni Trenta del Novecento, sottolinea, di fronte alla crisi sociale e psicologica della società tedesca si presenta Adolf Hitler e proclama “Io posso”. E succede che coglie la vittoria alle elezioni del 1933. Hitler – ricorda Bergoglio – non rubò il potere, fu votato dal suo popolo… (e poi) distrusse il suo popolo”.
Parve a tanti uomini di Chiesa e del mondo politico che l’allarme lanciato da Francesco a Bari fosse una riflessione solitaria, tanto che nessun cardinale o arcivescovo tornò sull’argomento in appoggio al papa. Poi, neanche un anno dopo, il presidente Trump aizzò la folla a Washington agitando la grande menzogna della “vittoria elettorale” rubata e si vide l’assalto brutale a Capitol Hill per impedire la proclamazione del nuovo presidente Biden. L’impensabile – nella più antica democrazia dell’Occidente – era accaduto. E improvvisamente si capì che nulla era al sicuro per sempre. Non si tratta dell’avvento di camicie nere o brune, ma di classi dirigenti che distorcono la democrazie.
L’Unione europea, negli ultimi anni, ha già conosciuto l’avvento di democrazie illiberali e nazional-clericali: Polonia e Ungheria. Ora in Italia, per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale – unico caso in Europa – sta per affacciarsi al governo un partito (FdI) impregnato di cultura neofascista. Messa sotto schiaffo dalla stampa straniera Giorgia Meloni ha condannato da “soppressione della democrazia” durante il Ventennio, ma non ha ripudiato il simbolo della fiamma che scaturisce dalla tomba di Mussolini. Né ha avuto il coraggio di dichiarare che tra la Repubblica sociale e la rivolta partigiana, la parte giusta era dalla parte dei partigiani. Per non parlare della cultura dell’odio che traspare da molti suoi interventi.
Draghi, nel suo discorso al Meeting di Cl, è sembrato disinteressarsi della questione. Gli interessa solo l’allineamento atlantico e il rispetto dei patti economici europei. Francesco guarda più lontano. Parlando per grandi linee, avverte che i “salvatori”, di qua e di là dell’Atlantico, vogliono solo afferrare il potere. Bartolomeo Sorge, un celebre gesuita che ha segnato il cattolicesimo postconciliare italiano, rimarcava che il populismo – e specie il populismo sovranista – mitizza e idolatra il popolo ma in realtà cela il “dominio dei pochi” e non tutela affatto il bene comune. Peggio di tutti, nell’ottica bergogliana, è il “teopopulismo” che ammanta di religiosità la voglia di dominio. I crocifissi branditi da Salvini come l’aggressiva proclamazione di “cristiana” da parte di Meloni sono segnali evidenti.