Poco dietro Renato Schifani, c’è Cateno De Luca. Una vera sorpresa quella fotografata dagli ultimi sondaggi sulle elezioni Regionali siciliane. Oltre alle ultime rilevazioni di Ipsos per il Corriere della Sera (Schifani al 28,7% dei voti validi, De Luca con il 23,5%) e a quelle di Swg (Schifani 33-37%, De Luca 26-30), anche altri sondaggi commissionati dai partiti confermano il dato: alle prossime elezioni Regionali l’ex sindaco di Messina può arrivare secondo. Così, un exploit dietro l’altro, “Scateno” – è il soprannome che si è conquistato sul campo – si avvicina al suo storico obiettivo: la presidenza della Regione. Che resta tuttavia ancora lontana e non è neanche la sua più alta ambizione: già da piccolo, sostiene, sapeva di voler fare il presidente della Repubblica. Un sogno forse troppo distante per il politico noto a tutti come “scheggia impazzita” che anni fa si presentò all’Ars in mutande (solo per citare l’episodio più noto) e soltanto di recente ha minacciato in video il giornalista del Giornale di Sicilia, Giacinto Pipitone, reo di aver scritto una notizia non gradita sulle sue liste.

Sbalorditiva è la sua scalata elettorale. Solo, senza partiti, spesso sbraitando invettive contro il bersaglio di turno, “Scateno” si fa strada accrescendo, moltiplicando, anno dopo anno, il suo consenso. Fino a insidiare il candidato della corazzata sicula del centrodestra dato per vincente. Ma come ci riesce? Spesso trattato dagli avversari come un mero aizza popolo di provincia, De Luca è in realtà il perfetto underdog, il cavallo dato come sicuro perdente, quindi sottovalutato, liquidato con saccenteria da chi non guarda oltre la teatralità delle sue apparizioni. Eppure superando la maschera del Masaniello in salsa sicula, non ci vuole molto a scorgere una programmazione militaresca del suo percorso politico, possibile anche grazie alla sapienza con cui ha accresciuto nel tempo la sua dichiarazione dei redditi.

Nato a Fiumedinisi, paesino di 1390 anime che si inerpica sui monti della zona ionica messinese, è terzo figlio di una famiglia di contadini e ha iniziato dal basso, la terra: da ragazzo allevava conigli, raccoglieva noci, origano e faceva il muratore. E’ stato solo l’inizio di una vertiginosa ascesa: già a 18 anni “ho aperto il primo ufficio di patronato e a 22 ho aperto il primo ufficio della Fenapi a Messina in via Garibaldi 118/a (ove ci dormivo pure !!!) essendo stato uno dei fondatori”, scrive nel suo curriculum. La Fenapi, la Federazione nazionale autonoma piccoli imprenditori, conta 54 sedi operative in tutta Italia che offrono assistenza agricola a piccoli imprenditori. Dal piccolo paesino nel messinese alle sedi nel resto del Paese, un salto che gli ha portato un primato inatteso: nel 2021 è risultato il sindaco più ricco d’Italia con un reddito dichiarato di un milione di euro. Una scalata economica sulla quale ha puntato la lente d’ingrandimento anche la guardia di finanza di Messina con indagini che hanno portato “Scateno” a processo per evasione fiscale: accusa dalla quale è stato poi assolto in primo grado.

Mentre affinava le doti finanziarie, si formava politicamente: trasferitosi a Messina per frequentare il liceo classico La Farina, è cresciuto sotto l’ala protettrice di Salvatore D’Alia, grande mattatore siculo della ex Democrazia cristiana e padre dell’ex ministro Gianpiero. Proprio col marchio a fuoco della prima repubblica, ha mosso i primi passi nel consenso elettorale appena 18enne, quando è diventato il più giovane consigliere comunale di Fiumedinisi. Quattro anni dopo il primo balzo da semplice consigliere ad assessore. “Ero ambizioso e mi impegnavo per realizzare i miei sogni”, così si racconta sul profilo social. L’ambizione, certo, ma per capire l’ascesa elettorale dell’ex sindaco di Messina sono tanti gli aspetti da illuminare. Il primo è il contesto politico in cui si muove, spesso frammentato. Quando nel 2018 conquistò lo scranno più alto della città dello Stretto, molto fu determinato dalle spaccature degli altri schieramenti. È lì che riesce a infilarsi per sparigliare la partita e incassare il jackpot. E non a caso anche questa volta lo scenario elettorale è frutto di schieramenti consumati da lotte intestine che hanno prodotto divisioni e scelte di candidature poco trascinanti. Dopo mesi di braccio di ferro tra l’uscente Nello Musumeci e il leader siciliano di Fi, Gianfranco Micciché a spuntarla è stato Renato Schifani, il 72enne ex presidente del Senato che ha pacificato gli animi dei partiti.

I partiti, certo, ma gli elettori siciliani? Il prossimo 25 settembre il centrosinistra schiera la 67enne Caterina Chinnici, prima sostenuta da un’ampia coalizione, poi perfino rimasta senza l’appoggio del M5s per via della rottura dell’asse giallorosso. E riecco dove si infila lui, 50 anni, lo scalda popolo di Fiumedinisi che durante il lockdown arrivò a conquistare la ribalta nazionale: prima producendo provvedimenti (impugnati) per impedire l’ingresso dallo Stretto in Sicilia, poi incassando una denuncia per vilipendio per avere, in una delle note dirette, insultato la ministra Luciana Lamorgese. Fu proprio in quel periodo che le sue dirette Facebook toccarono vertiginosi picchi di contatti, grazie anche alla pubblicità che gli fece Matteo Salvini sui suoi profili social, avendo apprezzato il conflitto con Lamorgese (“Uno difende (coi modi disponibili) i suoi cittadini, l’altra produce moduli e burocrazia”, scriveva il leader del Carroccio). Figlio di un tempo social in cui i toni piacciono accesi, certo, ma figlio anche di un tempo in cui si attende a Marsala l’arrivo di Silvio Berlusconi per raccogliere voti per la compagna Marta Fascina, diventata un po’ il simbolo della polemica sui paracadutati. Ed è anche in questi gangli che si inerpica De Luca. Mentre i partiti calano candidati dall’alto, in un percorso elettorale sempre più dettato dai vertici e sempre meno dal consenso creato sul campo, “Scateno”, che pure nei partiti ha militato e con i partiti dialoga (la Lega a Messina ha appoggiato il suo candidato alle comunali di giugno), ha cercato il rapporto con il territorio e lo ha fidelizzato con uno schema chiaro, preciso: facendo marciare i servizi.

“Vedrete a Messina, adesso, ripulirà le strade” così indicava un ristoratore di Santa Teresa Riva, dove era stato primo cittadino, poco dopo la sua elezione a sindaco della città dello Stretto. Prima sindaco di Fiumedinisi, poi di Santa Teresa, infine di Messina. Tutte pulitissime? Non si direbbe, a giudicare da alcune strade più periferiche. Ma mentre la Sicilia mostra ai turisti di tutto il mondo vie ricolme di immondizia, altrettanto non si può dire della città da cui si entra nell’isola, dove la differenziata marcia a tamburo battente e i trasporti non sono da meno. Indiscusse capacità amministrative, proprio lì dove nessuno sembra riuscire a governare le grandi e stantie macchine della burocrazia dei comuni siciliani. Tutto condito da furori social e da contatti diretti con la gente: nei quartieri periferici di Messina, alle ultime elezioni lo si trovava seduto al bar a giocare a carte con gli avventori. Infine, slegato dai partiti, dalle lungaggini e le lotte intestine che a fatica portano alla convergenza su un candidato, l’ex sindaco inizia campagne elettorali molto prima degli altri: “Dove arriviamo noi, lui è già passato” confidava a giugno un attivista del M5s di Messina.

Così confortato da alcuni risultati, da un reddito che gli permette di investire in campagne elettorali lunghissime e arrivare in anticipo sugli altri, De Luca conquista terreno. Mentre risale le ottave, sempre più sbraitante: “Il video di Cateno De Luca in cui vengono attaccati il collega Giacinto Pipitone e il Giornale di Sicilia è offensivo nei contenuti e nei toni, oltre che stupefacente e sconcertante per la violenza verbale con cui si esprime il proprio dissenso”, scrive l’Assostampa siciliana. Ed è proprio sul dissenso che “Scateno” pare inciampare spesso, quel momento in cui l’ego colpito lo spinge verso acuti violenti e attacchi sferrati a più riprese contro la magistratura. Proprio per i toni usati contro i magistrati si scusò dopo la sentenza sul sacco di Fiumedinisi (6 prescrizioni e 2 assoluzioni), salvo tornare all’attacco di nuovo dopo l’assoluzione per evasione fiscale. “Non mi fate paura”, disse lo scorso gennaio rivolto all’Anm che protestava per i toni dell’ex sindaco di Messina. Un continuo sali e scendi, insomma, tra acuti, vittimismo e aggressioni verbali che lo collocano su una linea di confine, tra la strategia politica e il surreale.

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