Tra le tante bizzarrie di questa anomala campagna elettorale semi-estiva colpisce la scomparsa della corruzione. Nel dibattito politico, nei commenti, nei tweet di candidati e leader non si colgono riferimenti significativi, spesso neppure un accenno, al problema delle persistenti sacche di malaffare nella politica e negli uffici pubblici, ai circuiti di criminalità dei “colletti bianchi” alimentati dai rubinetti dei generosi finanziamenti del Pnrr, al rischio di mazzette presenti e future (soprattutto di una “mazzetta nera”, visto il tenore dei sondaggi). L’inconsistenza del tema della lotta alla corruzione affiora anche dai programmi elettorali – per quel che valgono, ossia pochissimo – che dovrebbero rappresentare agli occhi dei cittadini le direttrici auspicate delle promesse politiche di governo.

Ammirevole la coerenza dei trionfatori annunciati, e dunque protagonisti della probabile futura coalizione maggioritaria, che nel loro smilzo “Accordo quadro di programma” tralasciano del tutto la questione. Il vocabolario della probabile futura destra sovranista di governo non include parole come integrità, trasparenza, anticorruzione. La stessa questione del contrasto alle mafie viene ricompresa soltanto come uno tra i 16 sotto-punti alla macro-voce “Sicurezza e contrasto all’immigrazione clandestina”; e liquidata – attraverso un discutibile accostamento – col lapidario: “Lotta alle mafie e al terrorismo”. Punto e a capo.

Anche l’ultra-destra antieuropeista di Italexit – col motto “per l’Italia che non molla mai” – conferma questa amnesia selettiva: nelle ben 122 pagine del suo programma non c’è traccia di termini come “corruzione” o “legalità”. Spostandoci un poco verso il centro, anche l’accoppiata ultra-liberista Calenda-Renzi riesce in 68 fittissime pagine programmatiche nell’ardua impresa di non citare mai, neppure incidentalmente, i termini corruzione, legalità, mafia. Nella loro visione del mondo, si presume, sarà sufficiente lasciare libero sfogo agli “spiriti animali” dell’italico imprenditore capitalista per eliminare alla radice ogni sua tentazione di intrallazzo coi poteri pubblici.

Appena più consistente risulta la trattazione del tema tra le forze dell’ex-campo largo – oggi tristemente frazionato in diversi modesti appezzamenti. Nelle 35 pagine del programma del Partito democratico la corruzione è ricompresa soltanto nel contesto di una molto generica affermazione: “Mafie e corruzione tendono sempre a consolidare sistemi di potere occulti…”, premessa non per una proposta di potenziamento delle politiche anticorruzione, bensì per un richiamo alla difesa della libertà di stampa. La piattaforma programmatica del Pd riesce addirittura a tirare in ballo a sproposito il giudice Giovanni Falcone – come tanti altri nel trentennale della sua scomparsa, del resto: “Quando chiesero a Falcone cosa ne pensasse dell’esercito in Sicilia contro la mafia, lui rispose ‘certo che voglio l’esercito, voglio un esercito di insegnanti perché la mafia teme la cultura’”. Attribuzione erronea, oltre che imprecisa nei contenuti, visto che ne è autore lo scrittore Gesualdo Bufalino.

Soltanto a sinistra la “questione morale” rimane un tema qualificante, sia pure espressa in termini stringati e fumosi. Del resto il Movimento 5 Stelle, che giustamente si intesta l’approvazione di una legge sedicente “spazzacorrotti”, calcando troppo la mano sul persistere del problema finirebbe per sconfessarne implicitamente il valore e gli effetti. La lotta alla corruzione è uno dei sei punti previsti nella sezione “Dalla parte della legalità” dello snello programma – 13 pagine – del Movimento, così declinato: “maggiore trasparenza e controllo dei fondi del Pnrr e implementazione delle tutele per il lavoratore che denuncia (whistleblowing) e per i testimoni di giustizia”. Unione Popolare prende invece di petto della questione “di nicchia” della corruzione nel settore privato con una sola proposta, peraltro formulata in un italiano zoppicante: “Parificare le misure di controllo sull’anticorruzione tra pubblico e privato.”

E’ evidente che più ci si muove a sinistra, più il tema-corruzione riaffiora all’interno della proposta programmatica elettorale. Ma le politiche anticorruzione non dovrebbero avere connotazione partitica, farsi bandiera esclusiva (per quanto molto poco sventolata) di alcuni attori politici. Così non è in Italia, dove trova invece conferma una insidiosa “politicizzazione” in chiave personalistica del tema – chiara eredità dell’estenuante, pluridecennale “corpo a corpo” tra Silvio Berlusconi e i magistrati che l’hanno indagato e processato per reati di quella natura.

Pressoché scomparsa dalla campagna elettorale, tra i silenzi o i balbettii dei partiti e dei loro leader, la corruzione rimane un tema scottante per i cittadini. Secondo un sondaggio Eurobarometro, pubblicato nel luglio 2022, l’89% degli italiani considera diffusa la corruzione – più del 20% in più della media europea. Il 43% degli intervistati ritiene che sia cresciuta negli ultimi tre anni, contro appena un 9% di ottimisti. Oltre il 60% degli italiani crede che tra i politici e nei partiti tangenti e abusi di potere siano prassi abituale. Il 6% ha vissuto sulla propria pelle oppure ha assistito a uno scambio di tangenti nel corso dell’ultimo anno. L’87% degli italiani – in crescita rispetto a tre anni prima – valuta corrotte le istituzioni politiche nazionali e locali – il 15% in più rispetto alla media europea. Un terzo teme che quelle pratiche incidano negativamente sulla propria vita quotidiana. Tre quarti dei cittadini credono che i potenti godano di impunità. Il 58% giudica inefficace l’impegno anticorruzione del governo.

I campanelli d’allarme sul rischio corruzione squillano assordanti nella società civile, ma non trovano ascolto nei partiti, non interferiscono coi processi di selezione elettorale della “nuova” classe politica. Si tratta di un pericoloso corto circuito, che pone le condizioni per un incremento di disincanto e delegittimazione dell’intera élite politica – e dunque anche dei rappresentanti che occuperanno trionfanti gli scranni parlamentari o ministeriali.

In questa cornice preoccupante risulta quanto mai tempestiva la campagna lanciata da “Avviso Pubblico” – l’associazione di Comuni e Regioni per la formazione civile contro le mafie – #Nosilenziosullemafie, che idealmente ricomprende anche un #Nosilenziosullacorruzione. Si tratta di un appello utile a stanare candidati taciturni o riluttanti affinché si facciano carico di un impegno effettivo e rendicontabile sui cinque punti qualificanti proposti, tra cui l’introduzione di vincoli all’attività di lobbying. E’ dunque una campagna necessaria a restituire a un confronto aperto un tema complesso come l’alto rischio-corruzione che in Italia ancora contraddistingue troppi processi decisionali nel settore pubblico. Una questione che rischia di essere rimossa dall’agenda politica con l’occulto sostegno bipartisan di tutti quei soggetti che, proprio in virtù delle risorse monetarie acquisite per vie opache o illegali, stanno oggi investendo in dispendiosissime campagne elettorali.

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