Una procura che mentre indagava viene spiata dagli apparati istituzionali, come lo Sco e i servizi segreti ma pure qualche parlamentare. E’ il quadro dipinto in aula Maurizio Bonaccorso, il pm di Caltanissetta che rappresenta l’accusa nel processo ordinario sul cosidedetto “Sistema Montante“, dal nome dell’ex presidente di Confindustria Sicilia, condannato in Appello a 8 anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico. L’ex paladino dell’antimafia è stato processato col rito abbreviato, ma la sua vicenda ha dato vita a una serie di filoni d’indagine. E oggi il giudice Francesco D’Arrigo ha deciso che il processo Montante ‘bis’ e il processo ordinario dello stesso filone di inchiesta saranno riuniti in un unico procedimento che vede alla sbarra 30 imputati in tutto.
Sotto accusa ci sono nomi importanti a partire da quello di Renato Schifani, ex presidente del Senato e attuale candidato alla Presidenza della Regione Siciliana per il centrodestra: nel procedimento ordinario è accusato di concorso esterno in associazione a delinquere semplice e rivelazione di notizie riservate. Ma alla sbarra c’è anche l’ex governatore Rosario Crocetta, oltre allo stesso Montante. La decisione di riunire i procedimenti è arrivata oggi, dopo una breve camera di consiglio nell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta, nonostante il parere contrario di accusa e difesa dei due processi che temono un prolungamento dei tempi per le sentenze.
E’ per questo motivo che, replicando a un legale che lamentava un processo “spezzatino” perché divisi in diverse tranches, il pm Bonaccorso ha spiegato: “Nell’ambito della prima tranche dell’inchiesta sono emersi elementi di una vicenda, altrettanto complessa, che è quella politica”. Che tipo di vicenda? “Siccome la Procura di Caltanissetta operava controcorrente, perché mentre indagava era spiata, accerchiata da apparati istituzionali, come lo Sco e l’Aisi, e qualche senatore della Repubblica, si è deciso di mettere quantomeno un punto su quello che poteva già essere definito”. Insomma: i pm hanno cercato di far cominciare prima possibile i processi. Bonaccorso ha anche ribadito il perché al suo no alla riunificazione dei due processi: “C’è la netta opposizione a riunire i due procedimenti che sono certamente connessi, è evidente”. Ma il giudice D’Arrigo ha tirato dritto: “Vista la comunanza di fonti di prove e di lista dei testi, e in considerazione del fatto che si tratta di giudizi tra loro connessi in cui risulta contestato il reato di associazione a delinquere, la riunione non determina ritardo ma ne consente una più rapida esecuzione”, spiega il Presidente, come riporta l’agenzia Adnkronos. Il presidente ha fatto anche presente che la decisione scaturisce dalla constatazione che “la trattazione con tempistiche diverse da parte di diversi collegi che sono presieduti dal medesimo presidente determinerebbe incompatibilità, e che la ratio dell’istituto di riunione di processi è usata anche al fine di evitare l’incompatibilità”. Dunque, niente da fare. Stilato anche il calendario delle future udienze: la prossima è fissata per il 26 settembre, quando dovrebbe essere ascoltato l’imputato chiave, Antonello Montante.
Nel processo bis sono alla sbarra anche gli ex assessori regionali Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, l’ex commissario Irsap Maria Grazia Brandara, gli imprenditori Giuseppe Catanzaro, Rosario Amarù e Carmelo Turco, Vincenzo Savastano, che era vice questore aggiunto della Polizia presso l’ufficio di frontiera di Fiumicino, Gaetano Scillia, capocentro Dia di Caltanissetta dal 2010 al 2014, Arturo De Felice, direttore della Dia dal 2012 al 2014, Giuseppe D’Agata, colonnello dei carabinieri, e Diego Di Simone Perricone, ex capo della security di Confindustria. Mentre nell’ordinario, sono imputati l’ex Presidente del Senato Renato Schifani, oggi aspirante governatore della Sicilia. Sotto processo anche l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito, il caporeparto dell’Aisi Andrea Cavacece, il “re dei supermercati” Massimo Romano, il tributarista Massimo Cuva, il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, il sindacalista Maurizio Bernava, gli imprenditori del settore sicurezza Andrea e Salvatore Calì, Rosetta Cangialosi, Carmela Giardina e Vincenzo Mistretta (tre dipendenti di Montante), il poliziotto Salvatore Graceffa; il dirigente di Confindustria Carlo La Rotonda; il maggiore della Guardia di Finanza Ettore Orfanello; il luogotenente Mario Sanfilippo e il colonnello dei carabinieri Letterio Romeo. La prossima udienza sarà il 26 settembre.
Secondo gli inquirenti Montante avrebbe messo in piedi un vero e proprio ‘sistema’ di potere, ideato e attuato “grazie a una ramificata rete di relazioni e complicità intessuta con vari personaggi inseriti ai vertici dei vari settori delle istituzioni”. Inoltre, sempre secondo l’accusa, l’ex presidente degli industriali siciliani era stato al centro di una attività di dossieraggio realizzata, anche grazie a complicità eccellenti, attraverso l’accesso alla banca dati delle forze dell’ordine e finalizzata a ricattare “nemici“, condizionare attività politiche e amministrative e acquisire informazioni su indagini a suo carico. Grazie ai suoi contatti e all’influenza che esercitava in alcuni ambienti istituzionali, l’imprenditore avrebbe creato una sorta di rete spionistica: in cambio di favori, esponenti delle forze dell’ordine gli avrebbero dato informazioni su inchieste a suo carico, dritte sui ‘nemici’, consentito di avere pile di dossier su personaggi influenti. Secondo gli inquirenti Montante sarebbe stato la testa di una sorta di “governo parallelo” in Sicilia, e avrebbe “diretto” la vita politica e amministrativa dell’isola, piazzando suoi uomini in posti strategici. “E’ stato accertato con sufficiente chiarezza – aveva scritto la procura nissena nella richiesta di arresto – che Montante, oltre a promettere e a far ottenere occupazioni lavorative, si prodigasse per soddisfare aspettative di carriera o trasferimenti di sede”. Oltre a Montante, nel luglio scorso la corte d’appello di Caltanissetta condannato a luglio anche i componenti del “cerchio magico”: 5 anni per Diego Di Simone, l’ex ispettore della squadra mobile di Palermo diventato il capo della security di Confindustria, 3 anni e 3 mesi per Marco De Angelis, sostituto commissario della questura di Palermo, mentre era stato assolto invece il questore Andrea Grassi, che in primo grado aveva avuto 1 anno e 4 mesi. L’ex funzionario del Servizio centrale operativo della polizia, era stato ritenuto responsabile di una fuga di notizie, ma già la gup l’aveva assolto dall’accusa più pesante, non faceva parte della catena delle talpe di Montante. In estate era arrivata un’assoluzione piena. Assolto, infine, da due capi d’imputazione il generale Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Caltanissetta. Per un altro capo d’accusa, relativo all’assunzione della figlia, è scattata la prescrizione. Adesso si attendono le motivazioni della sentenza d’appello.