Il Pakistan assiste pressoché inerme tanto alla rottura degli argini fluviali del suo grande fiume quanto alle inondazioni lampo dei rivi minori e alle tracimazioni repentine dei laghi glaciali. Sono le peggiori inondazioni di questo secolo, soprattutto in termini di impatto. Non le peggiori della storia. La tremenda alluvione del 1992 fece almeno duemila morti nel nord del paese ma nessuna delle alluvioni del XXI secolo (2003, 2007, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, 2014, 2019, 2020, 2021) era stata così devastante. Almeno un terzo del Paese è sott’acqua. Secondo gli studiosi diversi fattori hanno contribuito a questo evento estremo che, per ora, ha prodotto circa 33 milioni di sfollati e più di 1.200 vittime, coinvolgendo un terzo della popolazione: ondate di calore, dinamica del monsone, scioglimento anomalo dei ghiacciai, anomalie meteorologiche a lunga gittata.

La catastrofe è probabilmente iniziata con le straordinarie e premature ondate di caldo, simili a quelle sperimentate in Europa questa estate. In aprile e maggio le temperature hanno superato a lungo i 40 gradi centigradi: a Jacobabad, in una torrida giornata di maggio, la temperatura ha superato i 51 gradi. Poiché l’aria più è calda e più umidità trattiene, i meteorologi avevano messo in guardia sul rischio che durante la stagione dei monsoni – da luglio a settembre in Pakistan – le temperature estremamente elevate avrebbero potuto innescare tassi di pioggia superiori alla norma.

L’intenso caldo ha anche potenziato lo scioglimento stagionale dei ghiacciai del Karakorum, la regione montuosa settentrionale e una vera e propria torre dell’acqua, aumentando i deflussi degli affluenti del grande fiume, l’Indo. È il maggior fiume pakistano, che attraversa il paese da nord a sud, alimentando villaggi, città, industrie e vaste aree agricole lungo il suo corso. Non è ancora chiaro con precisione quanto sia lo scioglimento glaciale in eccesso, poi defluito nei fiumi; ma a fine luglio hanno osservato in alta quota corposi deflussi di acque torbide e fangose; per esempio, nel fiume Hunza che, raccolte le acque del Gilgit e del Naltar, si immette direttamente nell’Indo. Più fango c’è maggiore è il contributo dello scioglimento glaciale per via della capacità erosiva del flusso ai piedi di un ghiacciaio. Senza contare che diversi laghi glaciali sono letteralmente esplosi, per la formazione di una breccia sulla diga di ghiaccio che normalmente invasa le acque, rilasciando pericolose onde di piena perché impulsive e improvvise. E altri si sono formati.

Alle ondate di calore si è accompagnata un’altra anomalia. Una depressione (un sistema di intensa bassa pressione atmosferica) nel Mar Arabico ha portato forti piogge nelle province costiere del Pakistan già a giugno, quando di rado una depressione su larga scala arriva a lambire le coste pakistane. L’insolito assetto idrometeorologico è stato infine esacerbato dall’arrivo anticipato del monsone che, a partire dal 30 giugno, ha fatto il suo mestiere ma con troppa lena, poiché “è stato generalmente più umido su una vasta regione per un periodo di tempo molto prolungato”, come afferma Andrew King, climatologo della Università di Melbourne.

Al suolo la pioggia ha già triplicato i valori medi annuali a scala nazionale; anzi, sulle province meridionali del Sindh e del Baluchistan la pioggia di questi mesi supera per più di cinque volte la media. E, al suolo, la maggior parte di quell’acqua non sa dove andare. Così si spiegano più di un milione di case, cinquemila chilometri di strade e 240 ponti distrutti. Nella campagna del Sindh si è formato un lago, largo decine di chilometri, destinato a invasare senza tregua. Per laminare le acque di piena a nulla servono le poche dighe pakistane, già al collasso, poiché gli invasi sono pieni e le acque iniziano a tracimare. Per salvaguardare le aree più densamente popolate a valle del lago Manchar, il più grande lago d’acqua dolce del paese, le autorità hanno deciso di creare una breccia, sfollando 100 mila persone.

Altri fattori meteorologici potrebbero rafforzare l’intensità delle precipitazioni. LaNiña – il raffreddamento delle acque superficiali del Pacifico centro-orientale che produce effetti anche a lunga distanza – è tipicamente associato a condizioni monsoniche più forti in India e Pakistan. E continuerà almeno fino alla fine dell’anno. Senza contare gli effetti di transitorio climatico dovuti al riscaldamento globale: tra il 1952 e il 2009 la temperatura dell’aria è aumentate in Pakistan a un tasso ben superiore alla media globale: quasi un terzo di grado ogni dieci anni. E un clima più caldo aumenta l’intensità delle piogge.

Sono eventi estremi ma assolutamente ripetibili nel futuro, vista la particolare dinamica dei deflussi da scioglimento glaciale del Karakorum, che il mio gruppo di ricerca ha misurato per primo nel recente passato, proprio nei luoghi dove Ardito Desio preparò un tempo l’ultimo strappo della spedizione alla conquista del K2. Senza precedenti sono, invece, gli effetti al suolo e gli impatti sulle infrastrutture, l’agricoltura, le industrie e gli abitati in un paese dove la popolazione è cresciuta a tassi enormi nel XX secolo. E questa crescita ha aumentato a dismisura l’occupazione delle fasce fluviali e la colonizzazione delle zone riparie. Nel 1992 il Pakistan aveva poco più di 100 milioni di abitanti, oggi 221 milioni.

La devastazione alluvionale di questo mese non è soltanto un castigo del cielo e di fenomeni meteo-climatici globali, ma anche il frutto di uno sviluppo urbano selvaggio e di un sistema di allerta inefficace per ogni tipo di inondazione, sia lampo sia lenta e prolungata. E la diretta conseguenza di una cattiva gestione dei disastri in fase emergenziale e post-emergenziale, nonostante che, dal 2017, il Pakistan si sia dotato di un ministero del Cambiamento climatico. Non solo, i fattori chiave a scala locale che trasformano una situazione drammatica in una tragedia sono la mancanza di infrastrutture di drenaggio, vasche di laminazione, installazioni temporanee o permanenti di flood proofing, nonché il gran numero di persone che vivono e lavorano in zona inondabile.

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