La morte della regina Elisabetta II potrebbe avere conseguenze impreviste sul futuro del Regno Unito dato che Londra condivide il proprio Capo di Stato con altre 15 nazioni del mondo. Si tratta dei Commonwealth Realms, una serie di Paesi tra i quali ci sono anche Australia, Canada e Nuova Zelanda che in passato erano colonie del Regno e che dopo la proclamazione dell’indipendenza hanno deciso di mantenere dei legami con Londra. Alcune di queste nazioni potrebbero abolire la monarchia, vista come un anacronismo di stampo coloniale, e proclamare la Repubblica approfittando della morte di una sovrana popolare e della successione di Carlo III, la cui figura non gode dello stesso prestigio e stima di quella della madre.
Il compito di Carlo non è semplice perché il nemico da affrontare è la progressione apparentemente inarrestabile della storia. In un sondaggio realizzato in Canada all’inizio dell’anno, ad esempio, il 55% di chi vi ha preso parte ha dichiarato di essere in favore del fatto che il proprio Paese rimanga una monarchia costituzionale fintanto che la Regina Elisabetta fosse stata sul trono. Il supporto per la monarchia era invece calato al 34% nell’ipotesi che Re Carlo si fosse trovato al suo posto. Philippe Lagasse, professore alla Carleton University di Ottawa, ha dichiarato all’Afp che “persino nel Canada anglofono il supporto per la monarchia è calato nel corso degli anni”. Marc Chevrier, professore di Scienze Politiche all’università’ di Montreal, ha chiarito come “il Canada sia un’eccezione monarchica nel bel mezzo di un continente repubblicano” e che “il dibattito si riaprirà dopo alcune settimane di lutto”.
In Giamaica, invece, il processo di transizione verso una Repubblica è già iniziato lo scorso giugno e la rimozione del monarca britannico come capo di Stato è attesa prima delle elezioni generali del 2025. A Santa Lucia il leader dell’opposizione, Allen Chastanet, ha dichiarato alla Reuters che supporta la tendenza “generale” del suo Paese verso una repubblica.
Antigua e Barbuda, uno Stato caraibico nelle Piccole Antille, ha annunciato, subito dopo lo svolgimento di una cerimonia che ha confermato Carlo III come sovrano del Paese, piani per organizzare un referendum sulla Repubblica entro i prossimi tre anni e il primo ministro Gaston Browne ha confermato a Itv News che “questo tema dovrà essere risolto con un referendum”.
In Australia il movimento repubblicano è cresciuto negli ultimi anni e ha beneficiato dell’elezione del primo ministro Anthony Albanese che ha nominato il deputato Matt Thistlethwaite nel nuovo ruolo di ministro Assistente per la Repubblica. Thistlethwaiste ha dichiarato a Current Affairs: “Molti australiani ritengono che i tempi siano maturi“. L’esecutivo Albanese si è impegnato a esaminare l’opzione di trasformazione in una Repubblica nel corso di un suo eventuale secondo mandato. Laburista e repubblicano convinto, ha recentemente raffreddato gli animi affermando che, come riportato dall’Australia Broadcasting Corporation, ha la responsabilità di difendere il ruolo di Re Carlo come monarca australiano perché “il suo ruolo costituzionale glielo richiede”. Nel 1999 gli elettori australiani avevano respinto un emendamento costituzionale che avrebbe abolito la monarchia ma alcuni sondaggi recenti hanno evidenziato come la maggior parte dei cittadini sia in favore della Repubblica. Il governatore generale, rappresentante del monarca, gode di alcune prerogative che, in alcuni casi, possono essere esercitate indipendentemente dal primo ministro.
In Nuova Zelanda secondo Katie Pickles, professoressa di storia presso l’Università di Canterbury intervistata dal Wall Street Journal, “c’è la maggior reticenza al cambiamento di tutto il Commonwealth” e le cose sono complicate dall’esistenza del trattato di fondazione dello Stato, stipulato tra la Corona Britannica e i Maori. Il periodico neozelandese Stuff ritiene che la Nuova Zelanda abbandonerà la monarchia solamente dopo una campagna politica che dovrà culminare in un referendum.