Per una coincidenza simbolica, la regina Elisabetta II è deceduta proprio l’8 settembre, giorno del mio ritorno in Giamaica da Trinidad e Dominica, che rimossero la regina da capo di Stato rispettivamente nel 1976 e 1978 proclamandosi repubbliche, dopo Guyana che era stata la prima a farlo nel 1970. Barbados ha completato la scissione il 30 novembre 2021. In Giamaica invece il conformismo pro-monarchia tiene duro, nonostante le pressioni per chiudere finalmente i conti con chi è stato causa di schiavitù e colonialismo, che l’indipendenza fittizia ottenuta nel 1962 non ha mai scalfito nella mentalità della classe dirigente e del ceto alto, i quali difendono gelosamente i privilegi ereditati. Per cui il premier Andrew Holness ha dichiarato ben 12 giorni di lutto nazionale.
Un impero di sangue e abusi
Campane a morto, bandiere a mezz’asta e retorica stantia non bastano a offuscare gli orrori che il reame planetario di Elisabetta ha avallato anche nei tempi moderni, pur se di meno rispetto a quelli della regina Vittoria, superata però nella longevità: 63 anni di trono contro i 70 di Elisabetta II Windsor. I suoi eredi ancora controllano sterminati territori: Canada, Australia e Nuova Zelanda, la maggior parte dei Caraibi anglofoni tra i quali spiccano Belize, Giamaica, Bahamas e Cayman (la cassaforte del Regno e di tanti evasori nostrani) più new entry come il Ruanda – che ha chiesto di far parte del Commonwealth of Nation – oltre al Kenya, che di fatto rimane un protettorato anche se formalmente indipendente dal 1963; qui 10 anni prima l’ottusità della Corona che non voleva fare concessioni provocò reazioni atroci: un commando di Mau-Mau ribelli entrò in un villaggio Kikuyu, massacrando un centinaio di civili, perlopiù donne e bambini. Durante le rivolte furono uccisi dai soldati inglesi 10 mila guerriglieri Mau-Mau.
Nei Caraibi oltre al genocidio di circa quattro milioni di schiavi africani durante le traversate oceaniche e nei campi di lavoro, la peggiore eredità lasciata alle ex colonie è un impianto discriminatorio basato sul colore della pelle e sul sesso: laddove ancora oggi chi è più scuro di carnagione viene relegato nei ruoli marginali della società, ricoprendo le mansioni più umili, quali manovalanza da cantiere, nei supermarket oppure come portatori dentro aeroporti e alberghi. Già a scuola il blaka – il “più nero” della classe – viene dileggiato a cominciare dal nickname affibbiato.
Gli inglesi si accanirono soprattutto sugli omosessuali, varando nel 1553 una legge medievale, The buggery act detta anche Legge anti-sodomia. Inizialmente concepita contro il sesso anale e l’accoppiamento tra uomini e bestie, divenne in breve persecutoria nei confronti dei gay: “the detestable and abominable Vice of buggery committed with mankind or beast“. Ancora oggi in alcuni Stati caraibici la polizia può entrare e arrestare due adulti consenzienti mentre fanno sesso: per loro non esiste privacy. Sebbene anche il Belize, solitamente refrattario ai cambiamenti, l’abbia abolita di recente, la Giamaica stolidamente persiste, la Chiesa in primis sul ceto basso, meno istruito e più permeabile anche agli slogan della musica dancehall che identifica nel batty bwoy – la checca in dialetto patois – il male assoluto.
Fece scalpore cinque anni fa il massacro di un ragazzino di 16 anni fatto letteralmente a pezzi a colpi di machete da un gruppo di energumeni a una festa, solo perché si era travestito da donna. Inutile dire che la polizia se ne lavò le mani e gli uccisori la fecero franca.
Da Dominica a Trinidad
L’aeroporto di Dominica, partenze e arrivi, è tutto in un grosso stanzone dove sono radunati anche un mini gift-shop, due bagni e due gates per gli unici voli del giorno. Accanto, un minuscolo vano per immigrazione e controllo bagagli. In assoluto il più piccolo mai visto in 40 anni di viaggi lungo il pianeta. Dominica – da non confondere con la Repubblica Dominicana – non ha niente a che vedere con il resto dei Caraibi: 71 mila abitanti, uno spicchio di umanità dentro una foresta pluviale senza soluzione di continuità intervallata da laghi bollenti e cascate di acqua calda e gelida, un’enorme Jacuzzi immersa nel verde. Il Nord Est si affaccia su baie circondate da spiagge nere di origine vulcanica, che si collegano attraverso le foci dei fiumi alla giungla circostante.
Qui sopravvivono gli ultimi indios dei Caraibi – 3700 – dell’etnia Kalinago. Gli ultimi dei Mohicani, dopo i genocidi perpetrati da spagnoli e inglesi che hanno cancellato le tribù millenarie dei Caribe, dei Taino e degli Arawak in Giamaica. Niente piume in testa né gonnellini di paglia, vivono di pesca e agricoltura come tanti. D’altra parte, con un turismo già di nicchia (la massa vuole le sabbie bianche di Antigua, Barbados e Giamaica) ridotto ai minimi termini prima da due uragani negli anni 2017-19 e poi dal Covid, non ci sono grosse alternative.
Il tasso di povertà oggi è intorno al 40% ma la gente si rimbocca le maniche e con grande dignità va avanti. Qui praticamente non esistono gli scrocconi, che invece imperano in stile mafioso nei Caraibi più gettonati.
Tutt’altra musica nelle twin islands di Trinidad e Tobago: grazie a un’economia industriale basata sulla produzione di petrolio – 100 mila barili al giorno – che raffina a Pointe-à-Pierre trasformandolo in carburanti, e alla manifattura e distribuzione di cibo e bevande da parte di Grace Kennedy ramificata in 40 nazioni, lo Stato è leader a livello regionale, considerando anche i proventi derivanti da Caribbean Airlines, il cui hub di Port of Spain, la capitale, è tappa obbligata con pernottamento per i voli che collegano Grandi e Piccole Antille. Oltre ovviamente a quelli che porta il celebre Carnevale.
Girando per Port of Spain, gli uffici governativi addobbati per il 60esimo anniversario dell’Indipendenza comunicano un senso di cura e pulizia che va oltre la festa, confermato dalla Biblioteca Nazionale, discreto supporto a studi e ricerche.
Trinidad e Dominica, al di là della distanza siderale a livello risorse, puntano a un tasso di inflazione basso, per via di una moneta forte che da un ventennio ha un cambio fisso con dollaro e sterlina – 2,7 EC$ Dominica e 7 TT$ Trinidad per 1 US$ – e su un’istruzione gratuita fino all’università. La Giamaica è arrivata invece a 150 JA$ vs 1 US$, speculazione pura. Dopotutto quegli anni 70, vituperati dalla sempiterna Restaurazione borghese, qualcosa di buono l’hanno prodotto.