Tra luglio e agosto il surplus di budget della Russia (la differenza tra entrate e spese dello Stato) si è ridotto in modo significativo. Secondo quanto riporta il ministero delle Finanze russo a fine giugno il saldo risultava in attivo per 1.370 miliardi di rubli (22 miliardi di euro) mentre a fine agosto si era assottigliato a 137 miliardi di rubli (2,2 miliardi di euro). In sessanta giorni il surplus si è quindi ridotto ad un decimo, con un calo che sembra essersi concentrato soprattutto negli ultimi 30 giorni. Ciò non di meno i ricavi dello stato russo continuano a salire: dai 14 miliardi di rubli di giugno ai 17,1 miliardi di agosto. Poiché il dato è relativo ad un saldo incide però anche l’andamento delle spese, a loro volta in salita e proporzionalmente più delle entrate. Dai 12,6 miliardi di rubli di giugno si è saliti ai 17,6 miliardi di agosto.

I dati diffusi da Mosca sono parziali quindi è difficile darne un’ interpretazione certa. Di sicuro ha inciso il rallentamento delle forniture di gas verso la Germania (ridotte ad un quinto del normale) deciso dallo stesso Cremlino. Ha pesato anche la discesa delle quotazioni del greggio, a giugno un barile veniva scambiato ad oltre 120 dollari al barile mentre ad agosto raramente ha superato i 100 dollari. Petrolio e gas generano più della metà del gettito fiscale incassato dal governo russo. I ricavi energetici sono scesi al valore minimo da 14 mesi attestandosi a 672 miliardi di rubli (11 miliardi di euro, -13% su luglio e -3,4% sul 2021). Difficile quantificare il ruolo svolto dalle sanzioni e dal progressivo “allontanamento” dei paesi europei dagli idrocarburi russi, a cominciare proprio dal petrolio che è quello che garantisce i maggiori introiti alla Russia. L’embargo entra ufficialmente in vigore il prossimo dicembre ma già ora alcuni operatori evitano il petrolio di Mosca per non incorrere nelle restrizioni già applicate sulle spedizioni oltre che in problemi anche di natura reputazionale.

Studi diffusi in questi mesi appaiono piuttosto contraddittori poiché in molti di essi veniva segnalata una quasi completa sostituzione dei clienti europei con quelli asiatici (Cina e soprattutto India) rispetto a quelli europei. A salire sono stare anche le spedizioni di greggio verso Turchia e Italia dove opera tuttora una grande raffineria della russa Lukoil. Certo è che Mosca vende il suo petrolio con uno sconto di circa 20 dollari al barile rispetto alle quotazioni di mercato. Venerdì prossimo la banca centrale russa riunisce i suoi vertici per decidere sui tassi di interesse che, dopo essere stati alzati fino al 20% nei giorni successivi all’invasione dell’Ucraina, sono stati gradualmente ridotti fino all’8%. La banca centrale invita alla cautela per quanto riguarda le stime sull’andamento dell’economia.

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