Ci sono “cose” che aprioristicamente si ritengono positive. Una di queste è il riconoscimento Unesco di una località. Ma è poi così vero che sia cosa positiva?
Innanzitutto potremmo cercare di capire come avviene questo riconoscimento, di cui tra l’altro l’Italia vanta il record mondiale. Alla fine dello scorso anno realizzai un’intervista a un noto attivista veneto che si batté contro il riconoscimento Unesco delle Colline del Prosecco, ritenendo che non avessero alcuna peculiarità, che la coltivazione del Prosecco necessitasse di un uso massiccio di pesticidi (e conseguenti danni alla salute) e che la richiesta sempre più importante di bollicine comportasse un ulteriore consumo di suolo e di perdita di biodiversità. Ma vinse la politica ad alti livelli e riconoscimento ci fu.
Andiamo avanti. Marco D’Eramo, nel suo imperdibile Il selfie del mondo, riporta il caso clamoroso di riconoscimento Unesco, fortemente voluto dal governo cinese, relativo alla città di Lijiang, pressoché completamente distrutta dal terremoto nel 1996, ricostruita in fretta e furia più o meno secondo le caratteristiche originarie e gratificata solo un anno dopo del riconoscimento di patrimonio dell’Umanità: una vera e propria “truffa”.
Da questi esempi possiamo quindi innanzitutto trarre la conclusione che non è detto che i Patrimoni dell’Umanità abbiano un carattere di unicità e di effettiva valenza storica e culturale. Ma su questo si potrebbe anche passare sopra, se il riconoscimento avesse conseguenze di effettiva tutela del territorio interessato. In fondo, lo stesso sito Unesco afferma che il riconoscimento debba essere uno sprone “anche ad assicurare la protezione del loro patrimonio naturale e culturale attraverso politiche specifiche, servizi di protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale”. E qui casca l’asino perché il riconoscimento non impone alcun vincolo di tutela e l’Unesco non ha nessun potere cogente nei confronti degli stati per mantenere i Patrimoni integri. L’esempio lo abbiamo in casa con le olimpiadi invernali di Cortina (e Milano) e i lavori previsti. Un tot di sbancamenti (alcuni già realizzati) e una colata di cemento e asfalto, che di sostenibile ha solo il nome, come ormai siamo abituati dalla politica del greenwashing. Il fatto che siano in un ambito di Patrimonio dell’Umanità conta zero.
Ma quindi questo benedetto riconoscimento a cosa serve? Di fatto lo spiega l’imprenditore Ernesto Abbona in un’intervista al Corriere di qualche mese addietro, quando ipotizza il numero chiuso a Barolo, nel cuore di quelle Langhe (la bassa Langa) Patrimonio dell’Umanità. Ecco, il riconoscimento serve ad aumentare il flusso turistico. Solo aumentare perché i luoghi sono solitamente straconosciuti. Ottenere il riconoscimento agevola l’aumento dei flussi specie di tour operator stranieri, con conseguenze malsane, come sempre avviene con il turismo di massa. Parlare di turismo di massa infatti significa di fatto parlare di un’industria, pesante, in crescita esponenziale in tutto il mondo. Secondo il World and Travel Tourism Council (Wttc) esso costituisce il 10,1% del Pil mondiale e si sta attestando come l’industria più importante del nostro tempo, ma anche la più inquinante, a livello ambientale ma anche culturale. E il riconoscimento Unesco serve solo a questo: ad alimentare la macchina.