Una media di 600 euro a megawattora, con punte giornaliere di 800. Quel che sembrava impossibile qualche anno fa, quando il prezzo dell’energia aveva una media di 50 euro, è diventata drammatica quotidianità alla Portovesme. Tanto che ora, sulla fabbrica controllata dalla multinazionale Glencore – che nella costa sud occidentale della Sardegna produce, unica in Italia, piombo e zinco, ma anche buone quantità di rame, argento, oro e acido solforico – si riaffaccia, fortissimo, lo spettro della fermata. In concreto: stop al 90 per cento della produzione e estensione della cassa integrazione che era stata già avviata alla fine del 2021 quando l’energia era schizzata fluttuando tra i 250 e 270 euro a megawattora.
Il rischio di una cig più ampia – Già allora era troppo, soprattutto perché per la Portovesme l’energia può essere considerata alla stregua di una vera e propria materia prima. Arrivati ai costi attuali, però, la fermata dell’impianto Zinco, quello più energivoro in assoluto, non basta più. E il numero dei lavoratori costretti a campare con gli ammortizzatori sociali (al momento circa 700, tra i 410 diretti e gli altri degli appalti) potrebbe salire a un migliaio. Una catastrofe economica e sociale (come altre cui si assiste nel resto del Paese) considerato che lo stabilimento garantisce 1.200 buste paga ai lavoratori diretti. Il tutto mentre si attendono da tempo i decreti attuativi dell’Energy Release, il provvedimento che pensato per calmierare il prezzo dell’energia in Sardegna e Sicilia ma per il quale si attendono i decreti attuativi che spetterebbe al Mite di Roberto Cingolani emanare.
I timori in fabbrica – Facile immaginare il clima di tensione e preoccupazione che si respira all’interno dello stabilimento del Sulcis. “Nessuno si aspettava una situazione del genere, seppure con il problema dei costi energetici si conviva da anni”, confida Matteo Roccasalva. Trentaquattro anni, da dieci dipendente della Portovesme, è padre di una bambina e ha una compagna che lavora. “Sono fortunato, perché la maggioranza dei lavoratori è monoreddito e con la cassa integrazione non si va avanti. Soprattutto se si lavora per gli appalti”. Roccasalva, che è anche delegato sindacale Filctem Cgil, parla di una “situazione frustrante” perché “già lo stato d’animo non era al massimo l’anno scorso, quando è stato fermato l’impianto Zinco, ma si sperava che nel giro di qualche mese la situazione ritornasse a livelli più accettabili”.
“Da strategici a dimenticati” – Invece i costi energetici hanno continuato a schizzare verso l’alto, garantendo profitti a pochi e tagliando le gambe a famiglie e imprese, fino a decretare la morte del tessuto economico. Il rammarico dei lavoratori è fortissimo: “In piena pandemia siamo stati considerati strategici e abbiamo continuato a lavorare – evidenzia – ma poi siamo stati dimenticati: è mancata la sensibilità politica e la presenza di un governo tecnico non ha certamente agevolato la risoluzione dei problemi. Una cosa è certa: se i macchinari si fermano, non sarà semplice riavviarli e potrebbe essere il tracollo”.
In attesa di un decreto – Una speranza potrebbe riaccendersi con l’approvazione dei decreti attuativi dell’Energy release, il provvedimento che dovrebbe garantire l’acquisto di energia a prezzo calmierato per le aziende i cui impianti si trovano in territorio insulare. Un passaggio atteso da tempo, caldeggiato non solo dalle organizzazioni sindacali ma anche da Confindustria di Sardegna e Sicilia. “Siamo in attesa e sentiamo tanta ansia – aggiunge Roccasalva – Lo vivremo come una sentenza dalla quale dipenderanno le nostre sorti. Purtroppo siamo in una situazione che ci impedisce anche di andare a Roma a farci sentire: perché se prima il problema energetico era solo nostro, oggi riguarda tutti”. L’isola ha sempre fatto i conti con il caro energia, seppure non a questi livelli. L’isola non dispone del metano e, al pari della Sicilia, non può giovarsi delle compensazioni per gli impianti energivori previste dallo strumento normativo denominato “Super interrompibilità”. Proprio per trovare una soluzione, riallineando Sicilia e Sardegna al resto d’Italia, si è optato per l’Energy release.