Un arretramento dal principio che fino ad oggi ha regolato il sequestro e la confisca di beni. Di più: un colpo di spugna al fondamento che disciplina il contrasto alla criminalità da profitto. È l’ennesimo effetto nefasto della riforma della giustizia penale firmata da Marta Cartabia, ministra della giustizia del governo di Mario Draghi. Una sorta di buco, causato dall’introduzione dell’improcedibilità, che rischia di mandare in fumo gran parte delle confische penali di beni. E che porta Libera a lanciare l’allarme: quella norma, secondo l’associazione antimafia di don Luigi Ciotti, rischia di trasformarsi in un colpo di spugna e dunque va rivista. Ma andiamo con ordine.
Lo studio del magistrato: “Così verranno revocate confische” – A notare l’ultimo pasticcio contenuto dalla riforma Cartabia è stato Francesco Menditto, procuratore di Tivoli, tra i magistrati più esperti in Italia in tema di confische. Non si tratta certamente di un magistrato antigovernativo, visto che Menditto è stato indicato dalla guardasigilli tra i componenti del consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Il capo dell’ufficio inquirente laziale ha appena pubblicato uno studio sulla rivista giuridica Sistemapenale.it (si può leggere qui). Oggetto del contributo è lo schema di decreto delegato presentato dal governo per l’applicazione della riforma Cartabia. Il decreto è atteso giovedì alla Camera, dove la commissione Giustizia dovrà esprimersi, dopo che nei giorni scorsi era arrivato il parere positivo dello stesso organo del Senato (col solo voto contrario dei 5 stelle). Menditto, però, ha evidenziato come nella norma ci siano “alcune criticità col rischio, qualora sia dichiarata l’improcedibilità, di un arretramento del principio per cui la criminalità da profitto si contrasta con la sottrazione delle ricchezze illecitamente accumulate“. A cosa si riferisce il magistrato? All’articolo 33 del decreto che regola i rapporti tra la confisca e l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione. L’improcedibilità è il meccanismo introdotto dalla riforma Cartabia che fa “morire” i processi se in Appello non si concludono entro un certo periodo di tempo: due anni per quasi tutti i reati base, tre per quelli gravi come la mafia. Il problema è che in questo modo s’introduce un nuovo status: oltre ai soggetti condannati, a quelli assolti e ai prescritti ci saranno gli improcedibili. Ma cosa accade ai beni sequestrati o confiscati ai soggetti giudicati colpevoli in primo grado, ma il cui processo è diventato improcedibile in secondo? “Sulla base delle disposizioni contenute nello schema di decreto verrebbero revocate confische, i cui presupposti sono stati accertati nel contraddittorio nel giudizio di primo grado, nella quasi totalità dei casi”, scrive Menditto nella sua analisi.
“Confisca revocata anche per i beni provento di reati gravi” – Per fare un esempio pratico: il denaro sottratto dalle tasse dagli evasori fiscali o le somme in contanti trovate in possesso degli spacciatori di stupefacenti tornerebbero ai soggetti condannati in primo grado, dopo la dichiarazione d’improcedibilità da parte del giudice d’Appello. E l’unico modo, da parte dello Stato, per riappropriarsene sarebbe chiedere una misura di prevenzione. Va sottolineato, infatti, che gli effetti dell’improcedibilità non incidono sulle misure di prevenzione, applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente reato. “Prevedere che dall’improcedibilità discenda la revoca della confisca di primo grado disposta nel processo penale, con l’unica possibilità di proporre sequestro e confisca di prevenzione, comporta che in molti casi la confisca sarà revocata pur in presenza di beni provento, diretto o indiretto, del reato anche di delitti di criminalità organizzata, tributari, in materia di corruzione, ma anche di criminalità da profitto comune“, scrive Menditto. Che poi spiega come la norma riguardi tutti i casi di sequestro e confisca penale, quelli in cui spesso il pm non chiede la confisca di prevenzione. “In particolare – fa notare dunque il magistrato – nella gran parte delle ipotesi di confisca allargata o estesa ex art. 240-bis c.p. in cui non ricorrono i presupposti della confisca di prevenzione, in precedenza non richiesta dal pubblico ministero evidentemente perché non la riteneva sovrapponibile”.
“Effetti in contrasto con la ragion d’essere delle confische” – Il magistrato sottolinea come a rischiare di andare in fumo sarebbero circa un terzo delle confische portate a termine fino a oggi: “Dai dati offerti dall’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati, attualmente sono in confisca definitiva 2/3 di beni per confisca di prevenzione, 1/3 per confisca allargata o estesa“, scrive. Poi spiega che questo meccanismo riguarda anche la “gran parte delle ipotesi di confisca, diretta o per equivalente, per delitti tributari (o di carattere economico-finanziario), non potendo ravvisarsi l’abitualità che consente la confisca di prevenzione”. E ancora “i casi di delitti contro la pubblica amministrazione che non consentono di ravvisare l’abitualità”, ma anche “la gran parte delle diverse forme di confisca obbligatoria relativa a delitti di criminalità da profitto comune (usura, truffa ai danni dello Stato e degli anziani, riciclaggio, autoriciclaggio, etc.) ove ancora una volta difficilmente si potrà ravvisare l’abitualità della condotta delittuosa richiesta dalla confisca di prevenzione”. Ecco perché nel suo studio Menditto sostiene che “l’improcedibilità potrà travolgere le confische“. “Gli effetti ora descritti – prosegue – si pongono in contrasto con l’evoluzione normativa e la ragion d’essere delle confische, nell’ordinamento italiano e internazionale. È opportuno ricordare che un’efficace azione di contrasto al crimine da profitto è possibile solo se all’azione repressiva ‘classica’ si affianca un intervento patrimoniale diretto a eliminare i profitti illecitamente accumulati che costituiscono la causa prima di questo tipo di delitti”.
L’allarme di Libera – Insomma un bel pasticcio. Che ha provocato la reazione di Libera. “Si rischia un colpo di spugna nei confronti della confisca penale dei beni confiscati, un arretramento del principio per cui la criminalità da profitto si contrasta con la sottrazione delle ricchezze illecitamente”, scrive in una nota l’associazione antimafia. “Auspichiamo un ‘ripensamento’ del testo per evitare che i patrimoni acquisiti illecitamente siano restituiti per motivi formali derivanti della improcedibilità per decorso dei termini – proseguono da Libera – La norma va opportunamente rivista consentendo una decisione di merito a garanzia dello Stato, che pur rinunciando alla dichiarazione sulla colpevolezza, otterrà una decisione sulla confisca, e dell’imputato che potrà ottenere una sentenza di merito sulla confisca con tutte le garanzie previste”. A questo punto la palla passa alla commissione Giustizia della Camera, dove il presidente Mario Perantoni, ha ben chiara la vicenda: “Abbiamo già sollevato in ogni sede questo grave problema, oggi Libera torna a denunciare il rischio della cancellazione delle confische penali come conseguenza del meccanismo della improcedibilità”, dice il deputato del M5s. “Direi che non è un rischio accettabile – aggiunge – domani si affronterà di nuovo il tema in occasione della discussione sul parere sullo schema del decreto legislativo sul processo penale, spero ci sarà piena consapevolezza della estrema rilevanza della questione da parte di tutte le forze politiche”.