Passato il disegno di legge sul clima, l’Australia si appresta a voltare pagina, ma la strada è lunga e in salita nel paese che affida il 92% del mix energetico ai combustibili fossili. C’è voluto un nuovo governo, quello del primo ministro laburista Anthony Albanese, perché uno dei maggiori Paesi inquinatori al mondo pro-capite e tra i principali esportatori di carbone, si impegnasse concretamente a cambiare rotta. Canberra mette così nero su bianco l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050 (già promesso dall’ex premier negazionista Scott Morrison, in ritardo rispetto alle altre grandi democrazie), ma soprattutto il taglio di almeno il 43% (rispetto ai livelli del 2005) entro il 2030. Dopo l’approvazione alla camera bassa (con 86 voti a favore e 59 contrari), nei giorni scorsi il climate bill è passato anche al senato, dove il governo non può contare sulla maggioranza ma, con il sostegno dei verdi e di indipendenti, è riuscito a far passare il testo con 37 voti a favore (30 quelli contrari). Sarà certamente un percorso tortuoso, ma necessario dopo un decennio di occasioni mancate sotto i precedenti governi conservatori. La posizione dell’ex primo ministro Morrison non ha aiutato, portando negli ultimi anni a una serie di disastri naturali, in primis incendi, siccità e alluvioni, costati in media alle famiglie australiane oltre mille dollari, solo considerando l’ultimo anno. Tant’è che, a un certo punto, persino da alcuni dei settori che più inquinano era partito l’appello in favore di un intervento. Ma nulla è stato fatto. Poi, a maggio 2022, le elezioni hanno portato una nuova guida per il Paese, che ora si trova davanti un’impresa tutt’altro che facile.
Il nuovo piano di Canberra – Il piano ambientale prevede di raggiungere i target vietando nuovi progetti per il carbone e il gas, ma l’Australia è uno dei maggiori esportatori al mondo di carbone (specialmente verso la Cina) e gas naturale. Il disegno di legge prevede anche che il ministro per il cambiamento climatico, Chris Bowen, presenti una dichiarazione annuale sul clima al parlamento e rafforza i poteri consultivi pubblici per l’Autorità per i cambiamenti climatici. Tutte novità accolte positivamente dal movimento ambientalista, dai sindacati e anche da diversi settori produttivi, anche se gli attivisti per il clima avevano chiesto un’azione ancora più incisiva. Non si introducono, infatti, misure per ridurre le emissioni nel settore privato. Vero è che una partita fondamentale sarà quella legata al cosiddetto ‘meccanismo di salvaguardia’ introdotto nel 2016 sotto il governo di Tony Abbott che, di fatto, ha consentito alle aziende della grande industria di aumentare le proprie emissioni senza pagare alcuna penale. Un tema su cui già ci sono state delle pressioni in sede di approvazione del climate bill, come segnalato dal leader dei Verdi, Adam Bandt. Il governo di Albanese ha pubblicato un documento di consultazione sulle modifiche a questo meccanismo, che introdurrà il prossimo anno e che prevedono la fissazione di nuovi valori di riferimento delle emissioni. Questo comporterà nuovi limiti per oltre duecento degli impianti australiani tra i più inquinanti, attualmente coperti proprio dalla salvaguardia. Secondo il ministro per il cambiamento climatico, Chris Bowen, “il passaggio della legge manda un messaggio al mondo, provando che l’Australia sta davvero riducendo le emissioni e che è “seria nel voler cogliere le opportunità di un’energia rinnovabile a prezzi accessibili”.
Un decennio di occasioni mancate – D’altronde il Paese era fermo ai target poco ambizioni del 2015, quando si impegnò a ridurre le emissioni di CO2 tra il 26 e il 28% sotto i livelli del 2005 entro il 2030. Ha governato dal 2018 allo scorso maggio l’ex primo ministro del Partito Liberale Scott Morrison su cui, tra l’altro, la scorsa estate l’attuale governo ha avviato un’inchiesta perché, durante il suo mandato, ha assunto anche il ruolo di ministro in cinque dicasteri, senza alcuna comunicazione ufficiale. Criticato da più parti, compresa la Casa Bianca, per la mancanza di iniziativa sul surriscaldamento globale, si è trovato nel 2020 davanti all’emergenza incendi. Una ecatombe anche per gli animali. Ma era stato proprio Morrison, negazionista climatico da sempre, il primo a ignorare – con la complicità dei media e, in particolare, di Rupert Murdoch – le allerte degli esperti, tra cui il report Ipcc di ottobre 2018. Sulle orme del predecessore Malcolm Turnbull, Morrison ha difeso le compagnie minerarie, dichiarando che il rapporto non presentava raccomandazioni al Paese. Nel frattempo, alle Conferenze sul clima, l’Australia è stata tra i Paesi a spingere perché fosse consentito di utilizzare i vecchi crediti di carbonio per raggiungere i target al 2030, rifiutandosi a Glasgow di aderire agli impegni per ridurre le emissioni di metano e per eliminare gradualmente il carbone. Di fatto, il Climate Change Performance Index 2022 ha piazzato l’Australia al 59° posto in una classifica nella quale le prime tre posizioni (su 64) non sono state assegnate a nessun Paese. Peggio, dunque, fanno solo altri cinque Paesi.
Un cambio di rotta complesso – Alla fine proprio dal settore industriale oltre che da quello agricolo (il più penalizzato da eventi estremi e incendi) sono arrivate pressioni. Così la National Farmers Federation aveva chiesto un impegno chiaro da parte del Governo in favore della riduzione delle emissioni. D’altronde anche le lobby hanno dovuto fare i conti con banche internazionali, fondi d’investimento e assicurazioni sempre meno disponibili a investire in settori che inquinano e si basano su fonti fossili. Così le elezioni di maggio si sono concluse con la netta sconfitta della coalizione conservatrice guidata da Morrison. Tra i principali problemi resta l’addio graduale al carbone. Lo sanno bene anche gli oppositori del governo che, infatti, manifestano dubbi sul raggiungimento degli obiettivi intermedi, tenuto conto del peso nel Pil delle attività estrattive energetiche e minerarie. Secondo il portavoce dell’opposizione conservatrice per il clima, Ted O’Brien, le nuove norme “soffocheranno l’economia con formalità burocratiche”. “La legge laburista – ha dichiarato – è un diretto attacco ai posti di lavoro e alla prosperità delle comunità regionali”. Ma per l’Australian Industry Group, associazione nazionale dei datori di lavoro, “l’approvazione al Senato fornisce una base utile per le imprese, il governo e la comunità da cui partire per lavorare verso gli obiettivi di emissioni sempre più impegnativi dell’Australia”.