di Alberto Piccinini * e Eugenia Tarini**
Con sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022 la Cassazione ha stabilito un importantissimo principio di diritto relativo alla data da cui far decorrere la prescrizione per i crediti di lavoro. Quella che potrebbe erroneamente sembrare una astratta questione tecnico-giuridica ha invece una portata applicativa molto concreta per il portafoglio dei lavoratori e delle lavoratrici.
Cosa si intende con il termine prescrizione?
La prescrizione (in ambito civile) è l’istituto per cui un diritto non può più essere esercitato in conseguenza (e a causa) dell’inerzia del titolare. Per i crediti retributivi tale termine è di 5 anni, per cui se qualcuno durante tutto un quinquennio non ha mai rivendicato, che so, delle differenze retributive per aver svolto mansioni di livello superiore o del lavoro straordinario non pagato, non può più farlo.
E perché è previsto questo limite?
Il motivo dell’esistenza di questo istituto risiede non nel sadismo del legislatore, bensì nell’esigenza di certezza del diritto: si ritiene che nessuno possa essere esposto in eterno alla possibilità che qualcuno gli muova delle richieste economiche.
E da quando decorrono i 5 anni per rivendicare i crediti di lavoro?
Ed ecco che arriviamo al punto della nuova sentenza: ora i lavoratori dipendenti da aziende private con più di 15 dipendenti potranno rivendicare i crediti retributivi entro 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
E quindi, dove starebbe l’innovazione della sentenza della Cassazione?
Generalmente nel diritto civile, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui un diritto può essere fatto valere. Nel diritto del lavoro però occorre tenere conto della disparità tra datore di lavoro – che detiene i mezzi di produzione – e il lavoratore, sottoposto al potere del primo. Alla luce di questo squilibrio tra le parti, già nel ’66 la Corte Costituzionale aveva stabilito l’incostituzionalità della norma del codice civile, evidenziando che la situazione di soggezione psicologica potrebbe indurre il lavoratore a non esercitare i suoi diritti per timore di subire un licenziamento.
La stessa Corte però, anni dopo, a seguito dell’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori del 1970 con la previsione della tutela reintegratoria in presenza di licenziamenti illegittimi da parte di datori con più di 15 dipendenti , aveva ritenuto che tale “stabilità” non giustificasse più la posticipazione nella data di decorrenza della prescrizione: veniva pertanto ripristinato il vecchio regime di decorrenza.
E allora perché oggi la Corte di Cassazione ha stabilito una cosa diversa?
Nel 2012 la riforma Fornero e nel 2015 il Job Act di Renzi hanno stabilito che in tanti casi in cui i licenziamenti vengono dichiarati illegittimi si può ottenere dal giudice solo un indennizzo economico. È stato perciò evidenziato che il mutato panorama della legislazione a tutela dei lavoratori degli ultimi dieci anni non garantisce più la stabilità reale del rapporto di lavoro, proprio perché le ridotte possibilità di reintegrazione potrebbe indurre i dipendenti a non mettersi contro il proprio datore fintanto che lavorano per lui.
Il tema era così importante e controverso che la Corte di Cassazione nel gennaio 2022 aveva organizzato una giornata di studi, invitando, oltre ai magistrati, autorevoli docenti universitari affinché le diverse posizioni si confrontassero in un franco dibattito, proprio in vista dell’udienza in cui la Corte stessa avrebbe dovuto pronunciarsi.
E cosa dice questa nuova sentenza?
La Cassazione il 6 settembre ha accolto la tesi più favorevoli ai lavoratori, stabilendo che per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge Fornero (luglio 2012), il termine di prescrizione decorra dalla cessazione del rapporto di lavoro. Con queste conseguenze: se fino al 5 settembre 2022, (prima della sentenza) la mensilità non pagata di ad es. di luglio 2012 per una diffusa opinione doveva essere richiesta entro il luglio 2017, ora invece potrà essere richiesta entro 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
E fino a quando si può andare indietro?
Come abbiamo detto, fintantoché il rapporto di lavoro resta in vita, si possono rivendicare tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge Fornero: quindi fino al luglio 2007.
*Sono avvocato giuslavorista di Legalilavoro Bologna, dalla parte dei lavoratori. Sono Presidente di Comma2 – lavoro è dignità.
**Sono avvocata giuslavorista di Legalilavoro Bologna, dalla parte dei lavoratori.