L'Italia è tra i sei paesi europei che non hanno mai fissato una soglia per legge, e con una copertura della contrattazione collettiva che supera l'80 per cento del mercato non sarà obbligata a farlo nemmeno questa volta. Dovremo invece attuare la riforma della rappresentanza per mettere un freno ai contratti "pirata". Ma per i cosiddetti contratti corsari, quelli rappresentativi perché firmati da Cgil, Cisl e Uil, ma con stipendi molto bassi, non cambia nulla
Il Parlamento europeo ha definitivamente approvato la direttiva sul salario minimo che diventerà legge con l’ok del Consiglio europeo che dovrebbe arrivare entro settembre. Un via libera annunciato, con 505 voti favorevoli, 92 contrari e 44 astenuti. Una buona notizia, ma c’è un però e riguarda in particolare il nostro Paese, che potrebbe recepire la direttiva senza che le cose migliorino davvero la condizione di molti italiani. In particolare dei tanti lavoratori poveri con uno dei cosiddetti contratti “corsari“, quelli firmati dalle principali sigle sindacali e quindi rappresentativi, ma con salari che in alcuni casi non superano i 4 o 5 euro lordi l’ora.
La direttiva approvata oggi fissa procedure per assicurare l’adeguatezza dei salari minimi negli Stati membri dove già esistono e in generale promuove la contrattazione collettiva come mezzo di difesa dei salari. Ma “nessuno Stato membro può essere obbligato a introdurre un salario minimo legale”, ha ribadito anche oggi il commissario europeo al Lavoro Nicolas Schmit. Che si riferisce ad Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia, i sei paesi Ue su 27 che non hanno adottato la misura, né saranno costretti a farlo se la contrattazione collettiva copre almeno l’80 per cento del mercato del lavoro nazionale. Al netto delle attuali difficoltà a calcolare in modo puntuale la percentuale di copertura dei ccnl, l’Italia dovrebbe già rispettare quella soglia e quindi nessuno ci può obbligare a introdurre una legge che fissi una salario minimo orario.
Escluso l’obbligo, quello che la direttiva ci impone è di promuovere una genuina contrattazione collettiva, che tuteli i rappresentanti dei lavoratori nell’interesse di questi. Insomma, dovremo arrivare a una legge sulla rappresentanza che metta un freno alla proliferazione e al dumping salariale dei cosiddetti contratti “pirata”, con stipendi più bassi rispetto ai contratti collettivi “principali” della categoria, firmati da sigle minori, fittizie o “di comodo” e sdoganati proprio dall’assenza di una legge sulla rappresentanza. Certo, la lotta ai contratti pirata avremmo dovuto farla da tempo, senza che fosse l’Europa a imporlo. Ma è ugualmente un passo avanti in un Paese dove i contratti collettivi registrati al Cnel sono orami più di 900. Ma il lavoro povero non è solo quello dei contratti “pirata”. E qui sta quella che per i sostenitori del salario minimo legale è la principale debolezza del testo appena approvato dall’Europarlamento.
Il problema infatti non è solo il grado di copertura della contrattazione collettiva, ma piuttosto la sua capacità di proteggere i salari più bassi. I tanti contratti “corsari” che negli anni hanno guadagnato fette di mercato sempre più ampie, battendo a volte la stessa concorrenza dei contratti “pirata”, allungano un’ombra sul recepimento della direttiva Ue nel nostro Paese. Si tratta di contratti firmati da sigle sindacali rappresentative in quanto aderenti a Cgil, Cisl e Uil, ma che prevedono salari molto bassi, in linea con quelli degli stessi contratti “pirata” e talora sotto la soglia di povertà assoluta.
I Paesi Ue avranno due anni per recepire la direttiva. In Italia dovrà pensarci il prossimo governo, a partire da una legge sulla rappresentanza che per il centrodestra favorito dai sondaggi non è mai stata una priorità. E che si è sempre mostrato tiepido anche sull’adozione della direttiva Ue. Uno per tutti, il coordinatore nazionale di Forza Italia e parlamentare europeo del Ppe, Antonio Tajani, convinto che “non serve il salario minimo così come lo vogliono imporre Pd e M5s, perché gli stipendi devono essere frutto della contrattazione tra i rappresentanti di lavoratori e imprese”. Così la Lega, che ha sempre sostenuto la necessita di migliorare i salari attraverso il taglio del cuneo fiscale, magari prendendo i soldi dal Reddito di cittadinanza, come suggerito dalla Lega che insieme a Forza Italia e Italia Viva punta sulla decontribuzione. E Giorgia Meloni? La leader di FdI ha più volte definito il salario minimo “uno specchietto per le allodole”. A ricordarglielo oggi è il M5s: “Fratelli d’Italia ha votato a favore della direttiva approvata oggi dal Parlamento europeo. Ci aspettiamo adesso che Giorgia Meloni voti la nostra proposta di salario minimo anche in Italia non appena le nuove Camere si saranno insediate”, ha detto l’europarlamentare pentastellata Sabrina Pignedoli in una nota.